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"Cu schifiu sunnu sti Sanchez?": storia della famiglia spagnola più potente di Palermo

Anno Domini 1511. Anzi, no. Questa storia, per essere capita, necessita di fare un salto indietro di ventisei anni, e precisamente nel 1485: anno del misterioso omicidio dell'inquisitore Pietro Arbues

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 26 ottobre 2020

Un dipinto di Hovhannes Aivazovsky

Anno Domini 1511, in una tavola di mare del golfo trapanese, di fronte al monte Cofano, l’alba colorava il cielo di fuoco.

"Pendagli da forca, ammainate le vele!"
"Chi dissi?"
"Non maniate le pere..."
"E cu ci tocca?! Avi ca sono là... gli stanno facendo i pidocchi".

Che il rapporto tra Geronimo Sanchez e il resto dell’equipaggio non sarebbe stato idilliaco lo si era capito da quando la nave era salpata dalle coste africane per fare ritorno a Palermo. Questa storia però, un poco come in Ritorno al Futuro, per essere capita come vuole il Signore, necessita di fare un salto indietro di ventisei anni, e precisamente nel 1485 (per Giove!).

Il 14 settembre di quell’anno l’ìnquisitore Pietro Arbues stava inginocchiato di fronte l’altare maggiore della cattedrale di Saragozza. Forse stava pregando, magari aveva trovato 50 euro a terra, molto più probabilmente si stava ripassando l’elenco telefonico per vedere chi poteva inquisire quella settimana.
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Improvvisamente il colpo di scena: fanno irruzione degli assassini incappucciati e armati di coltelli che di Pietro Arbues ne fanno "Simmenthal" tant’è qualche giorno dopo se la coglie e pace all’anima sua. Sacrilegium, tric trac e bummi a mano, dalle prime indiscrezioni pare che dietro l’abominevole omicidio ci fosse una congiura organizzata da illustrissime famiglie
di nobili ex conversi.

Il tam tam mediatico fu inevitabile: se da un lato partirono sfilate di politici a tipo modello “numero 4 Giuditta” a “Ostium contra ostium” (traduzione in latino di “porta a porta”) condotto da Bruno Vespasiano, dall’altra partirono ospitate di quelle belle a Vespri Live da Barbara De Ursus.

Un testimone oculare cieco, una che nel momento dell’omicidio si trovava dentro la cattedrale ma di un’altra città, un ex prete che aveva cambiato mestiere e ora si chiamava “la monaca di Ponza”, un ex pescatore di anime convertito alla pesca normarle perché le anime pesavano troppo poco e non ci guadagnava una lira, e uno di nome Polifemo che diceva di sapere chi avesse ucciso l’inquisitore ma quando glielo chiedevano rispondeva sempre “Nessuno, nessuno”.

Sospettati di aver partecipato all’indegno omicidio, Aloiso Sanchez e sua moglie Elulalia Tamarit, appresa la notizia, faranno armi e bagagli e, da Saragozza, se ne scappotteranno a Palermo per evitare di fare la fine “ru puippu vugghiutu” (polpo bollito). E se nel 1984 gli Stadio cantavano “chi erano mai questi Beatles?”, allo stesso modo, i palermitani si cominciano a chiedere: “ma cu schifiu sunnu sti Sanchez?".

Aloiso Sanchez ed Eulalia appartengono ad una delle famiglie più potenti di tutta la Spagna, basti pensare che suo cugino, pure lui Sanchez, è tra i finanziatori della corona per la spedizione di Cristoforo Colombo. Così, tanto per aprire una parentesi, non vi azzardate mai a dire in Spagna che Cristoforo Colombo era italiano perché riattivano il santo tribunale e vi mandano al rogo. Già, in Spagna si chiama Cristobal Colòn e per loro è spagnolo come è spagnolo il capitano della nazionale di calcio.

Intanto, Aloiso Sanchez ed Eulalia si sono stanziati nella bella Palermo. Piccioli non gliene mancano e neanche potere; di fatti, manco il tempo di tastiare un po' di quarume e quattro panelle, Aloiso si mette in società con un genovese che faceva Levi di cognome e, insieme, fondano il Banco Levi-Sanchez: tempo niente manda in rovina il banco Alliata che, mischino, a confronto sembrava il mio salvadanaio di quando avevo dodici anni.

Raccomanda a questo, raccomanda a quello, presta piccioli (che è la cosa più importante), Aloiso Sanchez si ritrova da scappato a diventare pure “protonotaro” che per intenderci era una della cariche più potenti di tutto il viceregno.

È proprio in questi anni, cioè i primi del 500, che l’inquisizione si viene a stoccare le gambe a Palermo: inizialmente in palazzi privati, perché non li potevano vedere manco scritti al muro, poi nei palazzi “chiddi chi cuntano”, specie quando verrà nominato viceré quell’altro bello spicchio di Ugo Moncada di cui vi ho già mostrato una diapositiva.

E mentre si manciava e si faceva schiticchio, a tipo tetti dello Sperone, un fulmine a ciel sereno entrò nella vita dei Sanchez: l’inquisizione aveva ripreso di mira sua moglie per omicidio di Pietro Arbues. La cosa bella e divertente è che sua moglie veniva ricercata e lui, non solo era “protonotaro” e proprietario di ricchezze e controricchezze, ma prestava pure i soldi a tutta Palermo perché, giustamente, la banca era sua.

Sulla questione di Elulalia onestamente non se capisce niente: c’è chi racconta che riuscì a fuggire dal carcere dell’inquisizione, chi giura di averla vista giustiziare e chi può mettere la mano sul fuoco che fu assolta dal papa,
anche perché compare un documento firmato dal notaio a suo nome dopo la sua presunta esecuzione.

Alla morte di Aloiso la carica di protonotaro passerà al figlio Aloiso junior mentre il banco Levi Sanchez andrà al figlio Geronimo.

Proprio Geronimo è quello che ha aperto questa storia, dando ordini nel suo galeone ormeggiato di fronte a pizzo Cofano. Quello che successe di preciso non sappiamo, ciò che è sicuro è che quel giorno ci fu un ammutinamento dell’equipaggio e, mentre la nave affondava proprio vicino alla costa, ci fu il viva maria tipo da Expert il giorno dei televisori in offerta: calci, muzzicuni, gente che afferrava a destra e sinistra, e fottutine di quello che si poteva rubare.

La vita di Sanchez fu contornata da altri successi e molti prestigi; quel giorno però, forse giustizia divina, Geronimo se ne tornò a riva, bagnato, spennacchiato, in mutande, e soprattutto a nuoto.
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