STORIA E TRADIZIONI
Era "sicco" e timido ma la sua voce poteva uccidere: chi fu a Palermo Fra Stracquadaino
Era un frate dal corpo minuto eppure aveva una forza fisica fuori dal comune ed era in grado di alzare qualsiasi peso e di sconvolgere chiunque lo ascoltasse
Canto gregoriano
L'ammirazione di particolari doti vocali era diffusa anche nel Medioevo, periodo storico in cui certi cantanti venivano ingaggiati per allietare il pubblico durante i concerti natalizi.
Uno di questi era Fra Stracquadaino, un frate dal corpo minuto che non lasciava presagire alcuna particolare capacità polmonare.
Eppure l’uomo, dotato di una forza fisica fuori dal comune, era in grado di alzare qualsiasi peso e di sconvolgere chiunque lo ascoltasse, anche solo mentre parlava. La sua voce era caratterizzata da una potenza sovrumana, talmente forte da riuscire a frantumare i vetri delle finestre o procurare mal di testa ai suoi interlocutori.
Dopo qualche anno di servizio, però, gli aristocratici di Palermo cominciarono a essere infastiditi dalla voce potente del frate e gli impedirono di cantare nel coro della chiesa.
Accorsero in molti per poter ascoltare la voce del frate, tanto che si formò una fila lunghissima, fino all’arco della Porta di San Giorgio. Dopo una lunga attesa, Fra Stracquadaino pronunciò le parole che tutti aspettavano: ‘’et homo factus est’’.
Le note risuonarono in tutto il quartiere e le mura della chiesa tremarono a causa dell’enorme potenza. Il suono si propagò in ogni direzione, anche nelle camere sotterranee, dove si era rifugiato Padre Geronimo da Randazzo.
L’anziano signore era malato da molto tempo e soffriva di nevrosi, perciò aveva cercato un posto sicuro dove rimanere al riparo dalla voce del frate.
Eppure, la distanza non fu sufficiente, perché non appena Stracquadaino aprì la sua bocca, la voce si insidiò prepotentemente nelle orecchie del Maestro causandogli estrema sofferenza. Il dolore fu tale da portare Geronimo da Randazzo alla morte 7 giorni dopo. A quel punto, il frate fu allontanato dalla chiesa e relegato a Sciacca.
Durante il tragitto verso la nuova dimora, prima ancora di giungere a Piana dei Greci, Fra Stracquadaino fu fermato da due banditi che lo minacciarono pretendendo tutti i suoi averi.
Essendo da solo e disarmato, l’uomo non oppose resistenza e diede la sua sacca ai malviventi. Non trovando denaro, la coppia minacciò nuovamente il frate, credendo che tutti i membri ecclesiastici fossero ricchi. A quel punto, Stracquadaino capì che poteva raggirare i due banditi e riprendere i suoi oggetti.
Il frate si sedette su una roccia e disse ai ladri di avere del denaro negli stivali. Quando i nemici si abbassarono per sfilare le scarpe al povero malcapitato, quest’ultimo prese le loro teste e le unì tra di loro con tutta la sua forza. Dopo aver ucciso i banditi, Stracquadaino li decapitò e decise di far ritorno a Palermo portando le teste al viceré don Garcia de Toledo.
Fu subito chiaro che il destino del frate era quello di servire la patria come membro dell’esercito, ma il cardinale non riusciva a credere che un uomo dotato di un corpo estremamente minuto fosse il vero protagonista di tutte le storie a lui giunte oralmente.
L’unico modo per dimostrare il valore del frate fu quello di organizzare una prova pubblica e, per l’occasione, il cardinale decise di far lottare Stracquadaino contro il suo miglior schiavo: un gigante egiziano.
Nonostante le apparenze non deponessero a suo favore, il frate mise al tappeto lo sfidante in pochi attimi, sollevò il corpo dello schiavo e lo gettò dalla finestra.
Ormai non si poteva più tornare indietro: da timido e gracile uomo di chiesa, Stracquadaino si trasformò in una macchina da guerra al servizio dell’aristocrazia.
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