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I segreti di Marettimo: la più selvaggia delle Egadi vista con gli occhi di un viaggiatore

A raccontare i misteri e le anime di questa isola è Massimiliano Scudeletti, scrittore e documentarista fiorentino, che da circa 15 anni torna sempre nelle isole siciliane

Jana Cardinale
Giornalista
  • 27 settembre 2020

Le case romane di Marettimo

La più lontana, la più decorata da ricami di stupore, costellata di colori generati dall’incanto della natura. Delicata e intensa. Marettimo che sa stregare. Un’isola scelta oltre la forza del suo sole, anche quando, finita l’estate, scoprirla e ritrovarla significa serenità.

La pensa così Massimiliano Scudeletti, scrittore e documentarista fiorentino, che vi torna sempre, da circa quindici anni.

«Non ho una risposta chiara e non depone a mio favore – dice - visto che dovrei saper usare le parole. Da sempre a marzo parto per l’Oriente, sulle orme di Terzani, e al ritorno mi chiedo se anche quest’anno tornerò a Marettimo e soprattutto perché. Più l’equinozio d’autunno si avvicina, più tendo alla più lontana delle Egadi come l’ago di una bussola al nord. Quando scendo dal traghetto ho già dimenticato la domanda: tutto è chiaro, come ho fatto a dimenticarlo?».
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Succede così: si scende su terraferma e si sorride, si scruta il colore dell’acqua, ci si avvicina alle barche che propongono giri dell’isola o immersioni nei fondali più incontaminati d’Italia, ma una parte indossa scarponi da trekking, agita bastoni da camminata e spesso sfoggia attrezzature che non sfigurerebbero ai piedi di una ferrata delle Dolomiti.

Già, la roccia dolomia che ha scelto quest’angolo del Mediterraneo per manifestarsi in una cima, Pizzo Falcone, che sfiora i 700 metri, ricca di conifere tra cui su cammina intravvedendo il mare o i passaggi esposti che mozzano il fiato.

«L’ho raccontato più volte ai miei amici, camminatori d’Appennino, quelli che pensano al mare con un sorriso di sufficienza – aggiunge Massimiliano - qui ci sono sentieri, anche impegnativi, che uniscono le passioni, che mettono d’accordo tutti. Possono essere fatti in estate, ma bisognerebbe cedere alla tentazione di percorrerli in primavera al tempo delle fioriture o all’inizio dell’autunno quando l’acqua è ancora calda e ti ristora dopo una lunga camminata.

Ne cito tre commettendo peccato d’omissione: salire a Case Romane, da cui una guarnigione spiava il mare fin dal I secolo AC, mentre infuriava la guerra civile tra Pompeo e Ottaviano; al Castello, una fortezza saracena e poi normanna, oggi centro d’osservazione della Foca monaca o al Faro.

L’ho fatto giusto oggi e ho pensato che sia una delle escursioni che amo di più: alla fine vieni ricompensato dalla visione di un vecchio faro, fatiscente e bellissimo, che giganteggia sulla natura. Sarebbe bello se fosse trasformato nel secondo museo di Marettimo».

Sì, perché Marettimo ospita già un museo dal lungo nome: “Museo del mare delle attività e tradizioni marinare e dell’emigrazioni”, ed entrarci è un viaggio attraverso il territorio per addentrarsi in un percorso umano che lega Marettimo alla California, all’Alaska, al Portogallo. È gestito da volontari, le anime dell’Associazione CSRT Marettimo.

«Senza Mimma, Vito e Laura – dice Scudeletti - non avrei mai trovato il coraggio, o l’imprudenza, di scrivere il mio libro sui Rais di Favignana». Luogo di saraceni e di normanni, di principesse gelose e di leggende, quest’isola: basti pensare a Samuel Butler che alla fine dell’Ottocento enunciò una teoria secondo cui l’Odissea era stata scritta da una donna trapanese.

Per Butler, Marettimo era Itaca. Probabile? «No – dice lo scrittore fiorentino - ma avvincente, come credere a una Mompracem nell’Adriatico più vicina ai miei sogni di bambino». Marettimo è altro dall’immaginario dell’isola mediterranea più comune, ce lo si confida con gli altri aficionados in uno dei bar dell’isola: certo i colori dell’acqua, la mancanza delle macchine, il profumo di conifere mescolato alla salsedine, i giri dell’isola, le camminate ma, c’è altro: questa è un’isola sacra.

Hierà Nèsos la chiamò Polibio, sacra non a un dio in particolare, ma agli uomini, perché è un’isola che cura. Lì gli uccelli vi fanno tappa per rinfrancarsi durante il ciclo perenne delle migrazioni, come se fosse un trampolino per le loro partenze e ritorni. E lì si recuperano le forze come se ci si abbeverasse a una sorgente di energia.

«Saranno le sorgenti d’acqua dolce, il mare che contende alla pietra e alla terra il primato del fascino, o qualche misteriosa energia geomagnetica che lenisce, cura affascina? Se lo hai provato, lo sai – conferma l’autore de “L’ultimo Rais di Favignana. Aiace alla spiaggia” - e inizi a far parte del club di quelli che ritornano. Ognuno è capitato qui per caso, per strade differenti, ma il seguito è uguale per tutti. Anche per me è stato un caso, posso dire che Marettimo mi ha preso per la gola».

Immancabile sull’isola una porzione enorme di zuppa d’aragosta fumante in cui vengono spezzati gli spaghetti assieme a una bottiglia di vino bianco, tanto da ritrovarsi appisolati sui gradini dell’ufficio postale assieme a due dei cani pezzati che popolano l’isola. Cos’è, quindi, Marettimo? Semplice: un’isola che si prende cura di te almeno sino al prossimo ritorno.

«Un tempo il luogo dell’anima dove ritornare era il Po della mia infanzia, poi il Mekong tra risaie e colline, ora a Marettimo preparo le mie battaglie, accetto le mie sconfitte e mi allontano da chi mi ha lasciato – conclude Scudeletti -. Mi vedo invecchiare su di una panchina accanto a un signore che indossa sandali di cuoio sopra calze bianche mentre entrambi guardiamo il lameggiare della marina».
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