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Il Festino tra leggenda e tradizione: 5 cose che un palermitano "doc" deve conoscere

Non solo il carro trionfale e i fuochi d’artificio, per celebrare Santa Rosalia ci sono delle antiche tradizioni da rispettare, segno di abbondanza, fortuna e protezione

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 15 luglio 2022

Il carro di Santa Rosalia

L’origine del Festino, celebrazione solenne della Santa Patrona di Palermo, è ben nota a tutti in città: chi non conosce la storia del miracoloso ritrovamento delle ossa di Santa Rosalia in un antro sul Monte Pellegrino (l’antica Ercta)? Chi non ha sentito narrare dell’immediata cessazione della peste in Palermo (1624) al passaggio dell’urna d’argento dove sono gelosamente conservate le reliquie della Santuzza?

Il popolo rende omaggio alla sua protettrice nella notte tra il 14 e 15 Luglio (giorno del fatidico ritrovamento) con una magnifica festa in cui da sempre non si lesina nulla.

Un tempo i festeggiamenti duravano addirittura ben 5 giorni. Scriveva Giuseppe Pitrè in Le feste popolari di Santa Rosalia in Palermo (1885) che un tempo la curiosità principale di tutti era rivolta soprattutto alla celebre muntagnedda d’oru, l’immenso carro la cui forma variava tutti gli anni: era talmente pesante da esser tirato da almeno 50 buoi.
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Sul carro trionfale prendevano posto i musici, vestiti di gran gala e tra il popolino si credeva che il capo dei musici fosse il re in persona. In cima al carro spiccava la statua di Santa Rosalia, vestita di bianco, col capo coronato di rose e piccoli angeli di legno scolpiti ai suoi piedi.

Non v’era balcone, finestra che non fosse gremita di gente, tutti si sporgevano sui davanzali o dalle logge, per non perdersi il passaggio del carro.

Nonostante il caldo, per le vie, la folla era stipata e doveva sgomitare per non rimanere schiacciata. Si attendevano con ansia i fuochi d'artificio (jocu di focu), che chiudevano la festa: la gente si riversava alla marina sin dalle prime ore pomeridiane, per prendere d’assalto terrazze, e finestre …il golfo la sera era seminato di barchette con tende e lampioncini di vari colori.

Oltre al carro trionfale e ai fuochi, alle corse dei cavalli e alle beneficiate (lotterie) oggi scomparse, diverse sono le usanze popolari che nei secoli hanno accompagnato i grandi festeggiamenti in onore di Rosalia e noi di seguito ne abbiamo raccolto alcune che ancora - fortunatamente - non sono del tutto sparite.

1 - A Banniricchia di Santa Rosalia (detta anche “muscaloro”) era la tipica bandierina di cartone (con l'immagine della Santuzza insieme al saponaro Vincenzo Bonello) tenuta da una canna e decorata con frange colorate, che veniva venduta di solito nelle bancarelle o dai venditori ambulanti.

Era un ventaglio votivo che si acquistava come segno dell'avvenuto pellegrinaggio (“acchianata”) al Monte Pellegrino e veniva considerato quasi una reliquia. Inoltre aveva sia una funzione apotropaica (per allontanare il male) sia la funzione di cacciare le mosche e l’afa sul letto di un ammalato. Un tempo ogni famiglia ne aveva almeno uno in casa o in bottega, per "protezione".

“Un ricordo si porta dal viaggio, un ventaglio di carta attaccato a un bastone di canna rivestito di carta a colori, il quale da un lato ha l'immagine di Santa Rosalia, dall' altro quella della Madonna o di San Francesco di Paola; roba benedetta che si appende al capezzale o si mette in uso a cacciare le mosche nelle gravissime malattie”, Scriveva Giuseppe Pitrè.

Questi ventaglietti si trovavano pure per altre feste mariane come la Madonna del Rosario di Tagliavia, la Madonna del Ponte di Partinico, la Madonna Addolorata di Romitello, la Madonna della Milicia ad Altavilla.

2 - La pietra di Santa Rosalia è una pietra cristallina del Monte Pellegrino e la tradizione dice che questa roccia copriva la botola dove si trovavano le ossa della santuzza e che al contatto con i bubboni della peste faceva scomparire il male.

Quando si andava in pellegrinaggio a piedi sul Monte si raccoglievano queste pietre o si compravano sulle bancarelle perché la pietra aveva la funzione, di allontanare le tempeste. Quando si avvicinava una forte burrasca la pietra cambiava colore divenendo scura. La tradizione vuole che se si lasciava sul davanzale di una finestra o si lanciava per strada, recitando una preghiera, la tempesta passava.

Si poteva recitare questa preghiera: “Santa Rusalia, prega a Cristu e a Maria, pi nui piccaturi,misericordia Signuri!”; oppure quest’altra: “Lampi e trona vattinni arrassu/ chista è la casa di Santu Gniazzu/ Santu Gnazziu e Santu Simoni/ chista è la casa di nostru signuri”.

La signora Carmela racconta: «Quando ogni anno con la famiglia andavamo a piedi al Santuario compravamo poi come ricordo della visita alla grotta il ventaglio e la pietra di Santa Rosalia. Il ventaglio era a forma di bandiera e le pietre erano di cristallo. Mia madre diceva che una volta lanciate in aria durante un temporale tenevano lontani i fulmini! Era una bella tradizione».

3 - Il gelato di campagna. Il menù del Festino che ci descrive Giuseppe Pitrè era piuttosto invitante: c’era la caponatina (melanzane o carciofi, olive, capperi, passolina e pinoli). Non potevano mancare i babbaluci a picchi pacchiu (chiocciole bollite e condite con pomodoro e cipolla); seguivano la vugghiuta (tonno bollito,tunnina, condito con olio, aceto e salsa di menta) e i caciotti (focacciole bislunghe farcite con strutto e cacio tagliuzzato), si finiva il pasto con u muluni (l’anguria).

Per le strade principali riempivano gli occhi le bancarelle dei “Siminzari” (un trionfo di calie ossia semi di zucca , noccioline, ceci e fave tostati) e dei “Tirrunaru” (dolcieri ambulanti) che vendevano per pochi spiccioli tirruni (mandorle, zucchero e albume), cubbaita (mandorle e miele), muscardini (farina, zucchero, mandorle), cunfetti agghiazzati (mandorle abbrustolite coperte con una crosta di zucchero rosso) e gelato di campagna.

Ogni festa aveva anticamente il suo dolce e il dolce del festino erano i moscardini (o dita di Santa Rosalia) e il cosiddetto "gelato di campagna", il gelato che non si “scioglie”: una specie di torrone tenero fatto di zucchero colorato, pistacchi, mandorle e vaniglia. “ I gelati di campagna di Santa Rosalia, rossi e verdi, stanno, infantili pastelli nelle vetrine", Scriveva Carlo Levi, in “Le parole sono pietre: tre giornate in Sicilia” (1956).

Si dice che il gelato di campagna fosse nato ispirandosi alla cosidetta giardiniera, preparata da un dolciere della famosa gelateria Ilardo, nel 1860 per l’arrivo di Garibaldi, con i colori del tricolore: una «fresca delizia al cedro, alla fragola e al pistacchio, sormontata da colorati canditi». Il gelato di campagna era economicamente alla portata di tutti e si poteva conservare a lungo.

4 - La montagna in cartapesta del Monte di Pietà. "Festineddu du chianu o Munti" era detto quello di Piazza Monte di Pietà, dove si ricostruivano in miniatura il Monte Pellegrino, il santuario o la grotta della Santuzza, in legno, cartapesta, tela e gesso. All'interno della struttura effimera si trovava una riproduzione in gesso della statua di S. Rosalia, copia in miniatura di quella di Gregorio Tedeschi.

Sulla sommità del monte in cartapesta veniva posta un altra statua della Santuzza, in raccoglimento e preghiera. Tanti anni fa, in via Panneria, dove sorgeva la casa di Vincenzo Bonello (distrutta dai bombardamenti della seconda guerra mondiale), si costruiva in cartapesta la casa del Saponaro, all’interno venivano collocate le statue di Santa Rosalia e di Vincenzo in ginocchio.

Fino agli anni '40 si costruiva anche un carro trionfale dove si collocava un altare per la celebrazione della messa e dove prendeva anche posto la banda musicale.

Da qualche anno, davanti al Monte di Pietà, è ripresa la tradizione di ricreare il Monte Pellgrino: nel 2021 è stata allestita una Montagnola di luminarie, ideata dagli allievi dell’Accademia di Belle Arti.

5 - U Fistinieddu ossia Il Festinello di Santa Rosalia in Vicolo Brugnò: chi vuole ancora oggi respirare aria di vero "Triunfu di Santa Rusulia" può recarsi in questi giorni al Vicolo Brugnò, dove i residenti per devozione trasformano la stretta viuzza in una galleria di luminarie, tappeti, drappi e fiori.

Su un altarino addobbato a festa, in fondo alla suddetta via, troneggia trionfalmente la statua di Santa Rosalia. Da circa sessant'anni ogni anno durante il Festino i residenti di vicolo Brugnò di fronte alla Cattedrale di Palermo, onorano questa lunga tradizione.

"U triunfu” era il tributo in onore di Santa Rosalia, organizzato da devoti che preparavano degli altari sfarzosamente addobbati, davanti ai quali, nei giorni che precedevano il Festino, si cantava la novena e si recitavano litanie e preghiere. Si allestivano a volte anche "tavolate" in pubblica via e la sera si accendevano le luminarie davanti all'edicola o per tutto il vicolo e le gente stava all'aperto a godersi la festa.

Alla recita della storia della Santuzza in versi dialettali da parte di un cantastorie, seguivano balli accompagnati da "favi a cunigghiu" (fave soffritte con olio, aglio e origano) e litri di vino: la festa si concludeva in allegria solo a tarda notte.
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