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Il mistero della morte del conte Cagliostro: l'intrigante giallo di un palermitano illustre

Gli atti della morte dell'avventuriero ed alchimista riportano la data del 1795 ma non pochi sono i dubbi su quello che accadde realmente prima e dopo la morte dell'uomo

  • 13 gennaio 2020

Joseph Balsamo, "Comte De Cagliostro" di Pierre Alexandre Wille

Sulla vita di Giuseppe Giovanni Battista Vincenzo Pietro Antonio Matteo Franco Balsamo, meglio conosciuto con il nome di Alessandro, conte di Cagliostro, si sono scritti decina di libri. Oltre ai fatti realmente accaduti, tante leggende e misteri hanno avvolto la figura di questo personaggio palermitano.

Anche per quanto riguarda la sua morte, alcuni dettagli non sono chiari. Nell’Atto di morte, trascritto in data 28 agosto 1795 dall’Arciprete Luigi Marini nel Liber III Mortuorum, che si trova nell’Archivio Parrocchiale di San Leo, è scritto che morì il giorno 26 agosto 1795 alle ore 3 dopo mezzanotte (sub horam 3 cum dimidio noctis)…. e fu tumulato hora 23 del giorno già citato, 28 agosto 1795, sul ciglio del monte che guarda a occidente … sul terreno della R.C.A. (Reverenda Camera Apostolica).

Nella Rivista ufficiale dei Gesuiti “La Civiltà Cattolica” del 4 gennaio 1879 è scritto che: … “serrato nella Fortezza di San Leo e sorpreso da un colpo di apoplessia il dì 21 agosto 1795 senza aver dato alcun segno di religione Cagliostro pose fine al suo romanzo che interessò l’Europa” etc.
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Nella lettera inedita del 29 agosto 1795, trovata tra le carte del gesuita padre Antonio Bresciani, cofondatore della Rivista “La Civiltà Cattolica”, il Castellano Comandante la Fortezza, conte Sempronio Semproni, così si espresse: …”nel giorno 21 dell’andante verso il mezzogiorno fu colpito da forte apoplessia il rilegato Giuseppe Balsamo detto Cagliostro, per cui fu dalla guardia ritrovato affatto privo di sentimenti e cognizione […] in tale stato sopravvisse fin circa le ore quattro della stessa sera in cui dovette cedere alla violenza del male e spirò. Per istruzione del nostro Vescovo, è stato questi, per essere sempre vissuto con massime decise da vero eretico né avere dato mai segno di resipiscenza, sepolto fuori di luogo sacro e senza formalità alcuna ecclesiastica”.

Un’altra versione della morte del conte Cagliostro è quella riportata nella lettera di Monsignor Fernando Maria Saluzzo, Arcivescovo di Cartagine e Legato Pontificio di Pesaro e Urbino, inviata dalla sede di Urbino al Segretario di Stato Pontificio, il Cardinale Francisco Xaverio de Zelada, il 28 agosto 1795, che così recita: .…”il Castellano Sempronio Semproni - mi dice dunque che, sorpreso verso il mezzodì (non è precisato se si tratta del 21 o del 26 agosto) il detto Rilegato da un forte colpo di apoplessia, la sera medesima sulle ore quattro cessò di vivere”.

Evidentemente qualcosa di poco chiaro avvenne in quei giorni nella fortezza di San Leo. Nel 1962, lo storico latinista Italo Pascucci (deceduto nel 1992), trovò alcuni documenti dove erano riportate le dichiarazioni dell’Arciprete Marini: l’Atto di morte, compresa l’ora della morte, andrebbero riviste.

Infatti, secondo le sue dotte osservazioni, la morte sarebbe realmente avvenuta alle ore 22,17 (così interpretò la lettura “sub horam 3 cum dimidio noctis” di martedì 26 agosto 1795, e di conseguenza, anche il triste funerale, con successivo seppellimento, avrebbe avuto luogo alle ore 18,15, invece che a “hora 23, del 28 agosto”.

Anche per quanto concerne la cerimonia esistono dei dubbi. L’unica conferma di quanto accadde fu riportato dalle parole di un leontino di nome Marco Perazzoni, un bambino di 9 anni, sedicente testimone diretto, che nel 1878, affermò di avere assistito alla tumulazione del conte Cagliostro. Descrisse dettagliatamente, sia le fasi del seppellimento, sia le fattezze del conte Cagliostro.

È mai possibile che abbia conosciuto il Cagliostro vivo e morto (sue parole) nonostante i severissimi ordini a proposito dei contatti che il conte avrebbe dovuto avere durante la prigionia a San Leo?

Alla tumulazione non assistette nessun paesano, assistettero soltanto: il Castellano Comandante la Fortezza (il conte Sempronio Semproni), il Medico del Forte (il dottor Giulio Cesare Pazzaglia), il Tenente Pietro Gandini (Comandante la guarnigione di San Leo), l’Aiutante Marini, il caporale Antonio Nalini, i preti addetti alla Parrocchia ed i pochi soldati della guarnigione della Fortezza
adibiti alla sua diretta custodia (tra essi Gerolamo Venturini detto il Rosso, il quale ebbe un ruolo importante nella sua fuga dalla bocca del leone della Fortezza).

Precedentemente, il conte Cagliostro aveva cercato di fuggire da San Leo ma senza successo. Si suppone perciò che tentò nuovamente di fuggire aggredendo il frate cappuccino ma a causa della mancata evasione (così come descritto nel manoscritto anonimo), entrò in uno stato di malinconia, in attesa della morte naturale di Michele Rinaldi (un detenuto di 89 anni che morì il 26 agosto 1795, cioè nella stesso giorno attribuito al Cagliostro).

Il conte Cagliostro, aveva escogitato di fare aggiungere il proprio corpo, ormai ritenuto cadavere dopo le vane stimolazioni (in realtà era in uno stato di catalessi volontaria) a quello del Rinaldi, con l’aiuto della guardia Gerolamo Venturini, detto il Rosso. Probabilmente il conte Cagliostro, mago e occultista, conosceva la maniera di controllare le forze della natura ed aveva tentato di fuggire con il metodo della “morte apparente”.

Nella Fortezza di San Leo, c’era l’usanza di gettare i cadaveri dei detenuti “comuni” giù dalla torre che venivano raccolti in seguito e seppelliti senza alcun controllo. Il Cagliostro era un “detenuto particolare”, con un “diverso trattamento”, ma Michele Rinaldi era soltanto un “rilegato (detenuto) comune”. In questo modo, calato con il Rinaldi dalla Rupe, sarebbe fuggito.

Il conte Cagliostro, probabilmente aveva programmato tutto: la finta conversione, poi le botte del cappuccino e, infine, la catalessi, diagnosticata dal medico che lo visitò, in attesa della vera morte di Rinaldi, che già da qualche tempo agonizzava nella sua cella. Quest’ipotesi fu citata dalla rivista “La Civiltà Cattolica” del 4 Gennaio 1879, anche la deposizione di Eugenia Tucci, leontina di circa settantotto anni, che, interrogata nel 1878, disse…”di aver inteso sempre dire dalla sua madre che il Cagliostro tentasse di strozzare un frate, che egli aveva chiesto con il pretesto di confessarsi, con l’intenzione di vestirsi dei suoi abiti e così fuggire dalla prigione.

Ciò fu scritto in un manoscritto anonimo ritrovato e divulgato da Gian Luigi Berti: il conte Cagliostro più volte si finse morto e durava qualche tempo a starsene come senza fiato per essere sepolto e così evadere. Si era allenato talmente bene per un lungo periodo tanto che ormai riusciva facilmente a tenere il proprio corpo uno stato di catalessi profonda simulando la morte, ma i medici, per farlo rinvenire, gli davano fuoco sotto la pianta dei piedi, procedura attestata dalle testimonianze dell’epoca, il che fecero per l’ultima volta.

Il testo anonimo, citato nel libro di Gian Luigi Berti continua: … dopo questo fatto, vedendo di non poter più sfuggire la stretta del carcere, venne in tanta malinconia che alla fine di agosto 1795, fu colpito da un attacco di apoplessia. Dopo l’accertamento dell’avvenuta morte, il corpo del conte, calato dalle mura della Fortezza insieme a quello del Rinaldi, sarebbe sparito per sempre dalla vista dei carcerieri. Dopo l’iniziale smarrimento dei suoi custodi, tutto fu messo a tacere da parte della Curia, e si dichiarò il conte fosse ufficialmente morto il 26 Agosto 1795, tre ore dopo la mezzanotte.

L’Atto di Morte stilato dall’Arciprete Marini, non specifica di chi fosse il corpo trasportato e sepolto e, nemmeno il bambino Perazzoni, avrebbe potuto riconoscerlo perché nella lettera che il tenente Pietro Gandini inviò il 22 aprile del 1791 al Cardinale de Zelada c’era scritto che aveva dato ordini ai suoi soldati di tenere lontano le persone.

Il testo anonimo riportato da Berti precisa che … “fu sepolto come bestia a piè del muro della torretta e vi restò fino in sino al 1797; cioè sarebbe stato sepolto in luogo diverso da quello descritto nell’Atto di Morte”. In una lettera del 4 Settembre 1795, del Cav. Luigi Angiolini, Ministro del Granduca di Toscana presso la Corte di Roma, è scritto: …” quel provvido Castellano Semproni … l’ha fatto seppellire in un legnaio dove gli erano sempre rubate le legna, all’oggetto che i ladri possano in avvenire avere spavento di un uomo così temuto nell’approssimarvisi.

Dopo tutte questi contraddizioni, dove fu veramente seppellito il cadavere attribuito a Cagliostro? Di chi era il corpo? Qual è la verità?
Forse il conte Cagliostro mise in atto un piano per ridicolizzare la Chiesa Cattolica: Il Tribunale della Chiesa Cattolica Romana lo aveva catturato, incolpato di vari reati gravi, lo processò, emise la Sentenza, lo graziò dalla pena capitale con la sua Santa Pietà soltanto per non creare un martire massone vittima delle atrocità papaline imprigionandolo a vita in attesa del suo pentimento, ma sarà proprio per mano di un umile frate cappuccino che andò incontro alla morte! E poi la fuga e la scomparsa per sempre…

Il conte Cagliostro fu anche un alchimista ma le sue conoscenze andavano ben oltre la semplice pranoterapia. Precedentemente, si era così espresso: “La verità su di me non sarà mai scritta, perché nessuno la conosce”.
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