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In Sicilia tutti volevano essere "Don" e pagavano: il Mercato degli Onori e la compravendita

Funzionari, professionisti, ecclesiastici ma anche Nobili in cerca di "lustro": solo a Palermo si possono trovare 5 tra i cognomi più illustri che potenzieranno i loro titoli in questo modo

Susanna La Valle
Storica, insegnante e ghostwriter
  • 25 maggio 2022

Don Rodrigo e Don Abbondio dei Promessi Sposi

“Don” è un prefisso da anteporre al nome, deriva da Donno, Dominus, (Donna per le Signore). In realtà non fu mai un vero titolo ma un trattamento che riconosceva uno status d’onore, tributato a persone di rango, sagge, facoltose, adulte e potenti, laiche e religiose. Chi non ricorda Don Rodrigo, Don Chisciotte, o Don Abbondio e Don Camillo?
Questo titolo ebbe un periodo di grande e incontrollata diffusione, specie in Sicilia, ed è ricordato come “L’Inflazione degli Onori”.

Il Mercato iniziò con l’arrivo della Casata Asburgica in Spagna. Fino a quel periodo i regnanti spagnoli avevano seguito una politica di contenimento riguardo l’elargizione dei titoli.

Con grande accortezza avevano evitato di essere coinvolti in giochi di potere messi in atto da "Validos" e Capifazione. Questi acquistavano titoli per poi rivenderli e terze persone, arricchendosi dal punto di vista economico e accrescendo il loro potere. L’oculatezza dei sovrani spagnoli non fu seguita dai successori asburgici che, a fronte di pochi titoli concessi durante i 42 anni di regno di Filippo II, arrivarono a elargirne 528 , come scrive in un saggio storico, Fabrizo D’Avenia, dopo aver consultato la documentazione conservata presso “l’Archivo de Simancas” ( Consejo de Italia Secretaria de Sicilia) . In questo lavoro oltre a riportare i dati numerici ricostruisce i meccanismi e le caratteristiche, riguardo ai “Don”, evidenziando le condizioni "socio professionali di beneficiari e acquirenti".
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Il titolo come abbiamo detto era generalmente richiesto da postulanti “non per usufruirne in prima persona, quanto para beneficiar”, ovvero venderlo ad acquirenti desiderosi di prestigio. Questo scambio caratterizzò non solo la Sicilia ma tutta la società Europea che afflitta da continue guerre era costretta a rimpinguare le casse indebitate, con questo mercimonio. Tra gli “ intermediari di titoli ” i più famosi furono Lerma e Olivera in Spagna, Buckingham Strafford in Inghilterra, Mazzarino in Francia.

Orazio Cancila in “Baroni e popolo della Sicilia del grano”, ricorda il caso di Don Andrea Adonnino di Messina, che chiese un titolo di Barone a fronte di 1000 reali spagnoli, tramite un postulante, adducendo presunti meriti di nonno e bisnonno. Non conosciamo come andò l’esito di questa trattativa, il fatto è che questa inflazione degli onori riporta a una “forte mobilità sociale” che rimescolò e rinnovò “un ceto sociale che proveniva da una “Nobiltà a cavallo”. Sempre Cancila scrive: “mai forse nella storia della nobiltà siciliana feudale, si acquistò onore e titolo con tanta facilità”. Inevitabile un allargamento della base dei titolati, che divennero ben oltre 400 (“ feudatari di recentissima nobiltà”).

Il titolo di Don “pur non avendo un riferimento nobiliare, ma solo onorifico”, ricorda D’Avenia, fu “per molti siciliani, il trampolino di lancio verso riconoscimenti più prestigiosi, creando una classe di distinzione sociale” A loro furono tributati onore e anche devozione. Molto interessante la tabella riportata nel saggio dove sono indicati nomi dei postulanti, beneficiari e prezzo. In questo documento solo per i Don vi sono 200 titoli, il più antico quello concesso a un funzionario della Corona, Lorenzo de La Montana come “Provedor de Las Galeras de Sicilia”.

Il Mercato degli Onori non fu soltanto per funzionari, professionisti, ecclesiastici ma riguardò anche Nobili: solo a Palermo si possono trovare 5 tra i cognomi più illustri che potenzieranno i loro titoli con la compravendita di altrettanti, tramite i Validos, intermediari a Madrid.

La percezione dell’inflazione legata a questa nomina, non fu però sottovaluta da uno dei sovrani che nel 1620 pur ratificando l’ennesimo titolo, dispose un esame più attento delle richieste, avendo riscontrato tra l'altro un'auto attribuzione del titolo di Don, senza alcun pagamento. Questo portò il Viceré a emettere un’ammenda di 200 onze per chi avesse infranto la legge. Nello stesso bando inoltre si stabiliva che per il titolo di Don, la pratica richiedeva un pagamento di 40 onze destinate in questo caso alla guerra contro gli eretici.

Gli Intermediari furono la classe che più beneficò di quest’affare, diventando ricca e potente; fra questi è ricordato un Cappuccino, Commissario Generale, che acquistò un titolo di principe per rivenderlo in Sicilia e i cui proventi furono destinati all'edificazione di un Convento; e l’inflazione fu così grande che un titolo poteva essere diviso tra vari beneficiari, tra cui vedove e ragazze senza dote.

Tra queste storie di “Don” c’è quella di un turco di Costantinopoli, che convertitosi al Cristianesimo, e battezzato a Palermo, chiese il titolo come risarcimento, avendo dovuto rinunciare all’eredità famigliare perché non più mussulmano.

Il desiderio di distinzione, da mostrare agli altri, fu il volano di questo mercato calato in una società che si stava trasformando, dove l’accesso alle cariche pubbliche e professionali era più esteso e rendeva necessario un riconoscimento superiore rispetto ad altri.

Inevitabile che il titolo di Don abbia attraversato i secoli fino ad arrivare al 900, dove anche i nuovi ricchi e padroni, campieri e amministratori, e la mafia, si fregiarono del titolo di Don. Il “Predicato d’onore” anteposto al nome divenne il tratto distintivo di reverenza, sudditanza e temibile potere.

Che cosa è rimasto oggi di questo titolo? Nulla, i titoli di studio e/o lavorativi li hanno sostituiti. Il Don è completamente sparito, o quasi… Io continuo, però, in segno di rispetto, a chiamare “Don o Donna” chi si è distinto per dedizione e onestà nel lavoro, per saggezza, signorilità e gentilezza, specchio di una nobiltà d’animo e di pensiero.
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