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Ciao "rancutanu": l'addio a Burruano, un pezzo di storia del teatro palermitano

Con Gigi Burruano se ne va un pezzo di storia del teatro palermitano se non addirittura un pezzo di Palermo, quella Palermo degli ultimi che divenne patrimonio di tutti

  • 12 settembre 2017

Gigi Burrano

Con Luigi Maria Burruano se ne è andato un pezzo di storia del teatro palermitano se non addirittura un pezzo di Palermo.

Infatti Burruano, agli inizi Gigi e poi dopo i primi successi con il suo nome per esteso Luigi Maria, faceva parte di quella schiera di attori espressione di una Palermo verace e popolare.

Quella Palermo degli ultimi che ritroviamo onnipresente nei versi di Franco Scaldati, nelle canzoni di Tony Sperandeo (poi affermato attore cinematografico) e Giovanni Alamia (il duo di attori e musicisti scoperti dallo stesso Burruano) e nell'amore per il teatro di Nino Drago, Aurora Quattrocchi, Paride Benassai, Giacomo Civiletti.

Nell'arte, insomma, di quanti rappresentarono allora l'anima sporca ma autentica della città. Questi artisti portarono in teatro la Palermo più vera, nel bene e nel male, parlarono sulla scena il dialetto palermitano e grazie poi allo straordinario successo dello spettacolo “Palermo oh cara”, tutto questo divenne patrimonio di tutti, in giro per l'Italia, sul finire degli anni settanta.
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Lo strozzino del vicolo, avido e senza cuore, "u rancutanu", interpretato dallo stesso Burruano, diventò una maschera viva, e anche certe battute risuonarono a lungo nell'aria, come «la povertà non è una vergogna ma mancu un priu».

In scena Burruano, insieme agli altri artisti "ragazzacci" del Piccolo Teatro di via Pasquale Calvi, in contrapposizione col più “istituzionale” teatro Biondo, incarnavano questa Palermo sporca e cattiva, eppure vitale.

Questa infatti l'intenzione più autentica dell'arte teatrale di Burruano allora: con schiettezza, senza sofismi di alcun tipo, né letterari né intellettuali (ci avrebbero pensato altri a farlo), raccontare nella sua singolare bellezza l'anima nera della città, divertendosi nel farlo, e forse per questo si diventava "ragazzacci".

Tante le storie che si potrebbero narrare sulle intemperanze dell'attore (genio e sregolatezza vanno insieme) e non ci interessano, mentre invece una cosa è certa: il tempo ha arricchito di intensità e sfumature la sua recitazione facendolo diventare un attore sempre più bravo.

Ciao, “rancutanu”!
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