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"De Rebus Hierkte", astrusi frammenti di lettura

  • 3 aprile 2006

"De Rebus Hierkte" (Ed. del Mirto, 2005, 143 pagine, 12 euro) di Francesca Mercadante, scrittrice e geologa, presentato nella nuova e bella libreria Diogene, è un libro particolare nella materia e complesso nella forma. L’autrice ci narra con la sua prosa influenzata dal verso, a volte altisonante, inframmezzata dal troppo inflazionato “slang panormita”, una storia che prende spunto da una leggenda: il rinvenimento della mitica Hierkte, l’accampamento del condottiero cartaginese Amilcare Barca. Da questo fatto avvolto di cupo mistero, e dalla sua ricerca, si sviluppano, con la forza di un pugno in pancia, le storie ammantate di sentimento e canaglieria di alcuni personaggi. Positivo è l’elemento storico-sociale che caratterizza la pubblicazione: la decadenza di Palermo, città grande in potenza ma misera nella realtà, dedita a cancellare la sua memoria precipitata nel caos. La difficoltà del libro è però rappresentata dalla sua impalcatura narrativa costruita su diversi piani temporali e spaziali. Un filo troppo fine e sfuggente lega i pezzi del rebus. Molte volte il periodo fin troppo lungo è costituito dal susseguirsi di frasi ad effetto che seguono il pensiero ondivago proprio della sfera emozionale dell’autrice, in cui è facile perdersi fino al punto da non capirne il significato. La scrittura ellittica della Mercadante, come la storia che racconta, è un continuo scattare avanti e indietro e ripiegare su se stessa, che sinceramente scombussola e sconcerta il lettore. Molto difficile è interpretare dei frammenti teatrali, ostici e faticosi, che sicuramente non annoiano ma che allo stesso modo diventano un oggetto da respingere.

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Le schegge che costituiscono il corpo del racconto abbisognano dunque della volontà del lettore di legarle per dare un senso alla storia. Il rebus viene sì svelato alla fine delle centocinquanta pagine che compongono il libretto, ma quanti saranno i lettori che avranno la forza di arrivarci? In letteratura ci sono molti esempi di scrittura composta con la pancia e con i nervi, libri scritti meravigliosamente in accumulo, senza un’apparente filo conduttore, però dotati di una fortissima struttura e uno stile efficace indispensabili affinché l’opera “tenga” fino alla conclusione. Riteniamo, dunque, che la performance dell’autrice sia un po’ così, venata da un pizzico di insana presunzione e difficile da metabolizzare. Ecco, adesso, uno saggio del “Rebus”: «Il Rebus di Hierkte, il porto, attraverso le carte e gli schizzi, era stato individuato, una facile ricerca, ma la soluzione per la verità risultava incompleta, piccoli tasselli, significativi sfumavano, non v’era traccia del castello e la sagoma, come una fortezza si rivelava attraverso una Luna piena splendente. È vero che quel giorno, sui muri vuoti della biblioteca, i segni, le ombre che aveva intravisto, la conducevano ai fogli strappati, rinvenuti sotto le mattonelle di maiolica, ma era un lieve orizzonte? Un limite fra cielo e terra, fra cielo e montagna, una montagna coronata da alte mura, sotto la Luna piena? Fantastica fantasia e aveva ipotizzato, applicando schemi matematici, congetturando freneticamente perché le fosse tutto chiaro, ma al castello, alle mura, alla Luna si sovrapponevano a forza, i giovani uomini, l’amore che traspariva da essi per le cose ricercate, per la donna appena apparsa, per il tempo goduto».

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