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L’uomo è di spalle perché una donna gli ha guastato la vita?

  • 1 agosto 2005

Per recensire “L’uomo di spalle” di Giacomo Cacciatore (Dario Flaccovio Editore 2005, pp.204, 13,00 euro), basterebbe, cosa curiosa e oltremodo interessante, descrivere il suo biglietto da visita, ovvero la copertina: il titolo suggestivo, scritto a caratteri piccoli, capeggia timidamente la nuca in primo piano di una signora dall’aspetto borghese, seduta, che copre quasi totalmente una figura che si presume maschile anch’essa seduta, sono uno di fronte all’altra divisi dal tavolo di un Caffè. Entrambi sono di spalle ed entrambi hanno una sigaretta fra le dita, ma, mentre l’immagine della donna è ben delineata, anzi ingombra la scena, quel poco che si vede dell’uomo si stempera nel fondo nebbioso. Immaginiamo i due sfidarsi con lo sguardo più che colloquiare amabilmente. A libro finito ci si rende conto che molto del tema del romanzo è lì, senza trucco e senza inganno, e ci é stato suggerito abilmente.

Giobbe Dilei ha perso in modo misterioso il padre a sei anni ed ha un pessimo rapporto con la madre, che è una terribile e morbosa megera. Come questo non bastasse, il nostro ha un paio di ossessioni: un amore malato per la sua libreria, e l’uomo di spalle, un incubo che gli si presenta da quando è scomparso il genitore. Cosa fare dunque? Il protagonista si allontana dalla casa della madre, Catena Ferrante, e va a convivere con la fidanzata, Eva Volo, scatenando le ire e gelosie della genitrice e della di lei dimora. Il sangue comincerà a fiottare e la vicenda ad ingarbugliarsi tra realtà e pura follia. Solo l’incontro di Giobbe con Anna Matera, una giovane psicologa che ha dei problemi simili ai suoi, spezzerà le catene che lo costringono da una vita. Come avrete notato, i nomi sopra citati, e di molti altri di cui vi accorgerete leggendo il libro, oltre a produrre un effetto davvero esilarante, sono assolutamente funzionali per il flusso della storia.
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Giacomo Cacciatore, scrittore e giornalista di Repubblica, da consumato alchimista di generi confeziona un romanzo che è una mescolanza di noir, splatter, dramma psicologico, tanto bel cinema e fors’anche fumetto. Le prime cento pagine, composte da frasi brevi e ritmate alla Manchette, sono schegge di azione, comicità e gusto del grottesco che raramente ci è capitato di incontrare di recente, almeno nei ristretti confini patri. Dopodiché questo sommovimento di emozioni si attenua, e la narrazione comunque tesa si fa analisi psicologica (Dostoevskij aleggia), che è un’altra cosa rispetto al precedente andare ma ugualmente bello, per poi riprendere a tutto spiano in modo vertiginoso e concludersi con un insolito finale. Oltre agli spassosi titoli a tema gastronomico dei capitoli è da sottolineare, riguardo al rapporto madre – figlio, la stretta relazione amore – cibo che c’è fra i due. Catena Ferrante, infatti, dopo che il figlio si divincola da lei, attua un ricatto diabolico: gli permette l’ingresso nell’amata libreria solo dietro l’accettazione di deliziose cenette che lei prepara. La gabbia materna, feroce e castrante, che prima installa e poi alimenta un grumo chiamato senso di colpa difficilmente risolvibile nella personalità di un figlio: questo è l’oggetto del primo romanzo di Cacciatore che non lesina cattiveria per essere coerente fino in fondo. Quante figure di madri deviate i giornali ci propongono oggi giorno? E quante trasmissioni televisive di approfondimento ci sorbiamo quasi settimanalmente? “L’uomo di spalle”, che si esprime con il linguaggio e lo stile della fiction, è altro. E' diverso. E' meglio.
Per finire, il rabbioso incipit: «No, non chiamarlo amore, questo…Chiamalo cagna che ringhia sulla cucciolata cieca. Chiamalo egoismo e ricatto morale, ma amore, no . Dimentica questa parola».

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