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Ne capiva di donne e di Palermo: il nobile che donò alla moglie una villa (esoterica)

Un professore "illuminato", una classe di giovani menti che scoprono la città. Questa volta vi portiamo tra i viali e le statue dello splendido giardino storico

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 10 ottobre 2022

Villa Giulia a Palermo

Una volta il professore Terranova ci spiegò che la "compressione uniforme" e la "dilatazione uniforme" sono deformazioni causate dal rapporto tra forza e la superficie sulla quale la forza stessa viene esercitata.

Non lo disse perché era uscito pazzo e aveva dimenticato di essere professore di italiano e storia, ma per spiegarci il motivo per il quale il panino con la frittata, avvolto nella stagnola, e schiacciato per tutta la mattina dal peso dei libri, oltre che più lungo, diventa infinitamente più buono.

Quel discorso in codice in realtà significava soltanto una cosa: la sera prima Terranova s’era passato il tempo a fare un mega-frittatone quanto una casa, aveva imbottito personalmente 18 panini (uno per ognuno), e ci avrebbe portato a fare la solita gitarella per Palermo.

Così, una volta infilato il panino dentro lo zaino e svegliato il signor Papa (famoso bidello e autista) dal suo sogno ricorrente di diventare ricco facendo 13 al Totocalcio, partimmo con destinazione da decidere una volta raggiunto il Ponte Oreto (sempre non fosse crollato quel giorno).
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Stando a quello che ci raccontò il professore, tale ponte fu costruito negli anni '30 da un signore di nome Benito con tanti "che": che faceva pure lui il maestro, che stava sempre affacciato dai balconi con le mani nei fianchi a gridare “italiani italiani!”, che secondo alcuni ha fatto tante cose buone ma nessuno sa che cosa e che aveva così tanti piccioli da regalare una bella somma di denaro a tutti quelli che chiamavano i propri figli come lui.

Forse era un poco vanitoso questo signor Benito oppure era il figlio del genio di Palermo, ma a questo ci arriviamo dopo. Inoltre quel piccolo fiume sotto il ponte, e dove già a fine anni '90 vedevamo nuotare topi e mobili abbandonati, una volta era così limpido e pulito che pure Terranova da bambino ci si faceva il bagno.

Come se non bastasse tutta la zona prima del ponte - cioè quella da dove venivamo noi- era una volta un bellissimo agrumeto che via del colore aveva reso Palermo famosa con il nome di Conca D’Oro. Il problema, ci disse professore, e che è che dagli anni '60 in poi ci fu la mania dei film Western, allora tutti si misero a sparare e non se ne capì più niente.

Di conseguenza, a causa di problemi di posti nei cimiteri - problema che Palermo c’è sempre stato - a qualche genio venne l’idea di seppellire i cowboy ammazzati nel calcestruzzo, e da lì al posto degli agrumi crebbero solo palazzi di cemento. Comunque, superato il ponte con in bocca tanti “mah!”, scoprimmo che Carollo intanto s’era fatto fidanzato con quella raffreddata della 3C che le colava sempre il moccolo dal naso.

Per questo motivo, smosso dall’amore, ci confessò che dalla gitarella sarebbe ritornato con una confezione di fazzolettini da regalare all’amata così finalmente avrebbe potuto baciarla. Appena sentimmo questa cosa questa cosa del regalo alla fidanzatina partì la solita canzone che si canta quando qualcuno fa una figura di me#%! e che inizia per "Poropporò-poropporò-poropporò- poppò".

Forse fu che Terranova era stato pure lui innamorato di una che gli colava il moccolo, sarà che gli fece tenerezza Carollo, fatto sta che gli si avvicinò, gli diede una pacca sulla spalle e gli disse: «Ma tu vero con i fazzoletti ti vuoi appresentare? Lasciatelo dire, di femmine non ne capisci una beata mazza».

E così fece segno al signor Papa di svoltare per dove diceva lui e ci raccontò la storia di una nobile famiglia di nome Colonna che invece di femmine ne capiva assai e teneva l’abitudine di regalare alle fidanzate monumenti (altro che fazzoletti!).

Il più famoso di questa famiglia si chiamava Marcantonio Colonna, nominato viceré nel 1577 ma in testa teneva donne e bunga bunga. Manco arrivò, e senza saper né leggere né scrivere, fece costruire la meravigliosa Porta Felice in onore di sua moglie Felicia Orsini - e da questa porta da quel momento entreranno trionfalmente tutti i viceré dopo essere stati nominati- e una bella fontana a forma di sirena in nome dell’amante Eufrosina, che però aveva la peculiarità di avere le tette che sparavano getti d’acqua (almeno così ci stava scritto su Novella1577).

Nonostante tutta questa spiegazione, la nostra destinazione era però un’altra: Villa Giulia. Passa il tempo ma il "malivizi" si tramandano - questo ci racconta il professore - e nel 1777 un altro Marcantonio Colonna decise di costruire questa bellissima villa come regalo a sua moglie Giulia D’Avalos, perché ancora quello delle borse francesi che c’è in via Libertà ai tempi non esisteva.

«Questo non è un giardino normale - puntualizzo Terranova -. Questa villa è grande ben 7 ettari, la sua mappa è a forma di dodecaedro ed è altamente pregna di atmosfera esoterica».

Curioso, chiesi a Catalano - visto in prima media aveva già la barba - che cosa mai significasse stu "esoterico". Io non ne fui tanto convinto, ma mi disse che voleva dire «fare cose porche». In effetti, manco girammo l’angolo e trovammo il signor Papa che stava facendo cacca sotto un albero di banane, perché - disse lui - ci colpò il caffè di sua moglie.

Esoterico o no, proseguimmo il nostro tour adombrati da bellissimi ficus: alberi giganti che sembravano cresciuti per magia. Ad un certo punto, tra questi, trovammo una statua di un signore che il professore chiamò: Genio di Palermo, ovvero il patrono pagano della nostra città.

L’opera era stata realizzata da un certo Ignazio Marabitti nel 1778, che nessuno sapeva chi fosse, ma che sicuramente a fare lavoretti con il Das era meglio di tutti noi messi assieme. Lì per lì ci preoccupammo per un serpente, pure lui di pietra, stava per dare in pieno petto al signor Genio, ma il prof. ci disse che questa in realtà è un'antichissima simbologia che significa "infondere conoscenza".

Infine, dopo tanto camminare, ci trovammo di fronte una gabbia. La maggior parte di noi non aveva mai visto un leone… e forse era meglio che non lo vedevamo. Ciccio si chiamava, era la mascotte di Palermo, ed era più magro del signor Papa, a e tratti anche più disperato.

Non era quello il posto per il re della foresta: quello manco re della sua gabbia sembrava. Senza dire nulla capimmo che forse era il caso di uscire i panini e farli assaggiare a Ciccio. «È inutile» però disse un signore fermo a guardare anche lui il leone.

«La verità è che si seccò pure a campare». Dopo tanti anni venni a sapere che gli era seccato veramente a campare e che si era lasciato morire poco dopo, ma in un altro posto.

Saliti sul pulmino un po' tristi, Carollo - che non pensava più ai fazzolettini manco per niente - ebbe che fare una domanda a Terranova: «Professò… ma secondo lei, se nasce un altro Colonna gliela fa una statua al leone Ciccio?». «Chi lo sa, Carollo. Magari se trova una fidanzata bella come la tua, vedrai che gliela regala…».
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