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Nel cuore di Ballarò con lo scultore Filippo Leto: dove nascono le sue "opere parlanti"

Artista poliedrico e prolifico, autentico cittadino del retaggio culturale del Regno delle die Sicilie, vi portiamo nell'atelier-vetrina dello scultore e sperimentatore

Danilo Maniscalco
Architetto, artista e attivista, storico dell'arte
  • 3 settembre 2023

La statua di Santa Rosalia di Filippo Leto

Si apre al numero 15 di via delle Pergole, a latere del mercato storico di Ballarò, a Palermo l’atelier-vetrina dello scultore Filippo Leto, artista poliedrico e prolifico, autentico cittadino del retaggio culturale del Regno delle die Sicilie.

Nato a Palermo e docente di Discipline Plastiche presso il Liceo Artistico Statale di Napoli.

Studi superiori all’Istituto Statale d’Arte di piazza Turba con Salvatore Sammataro e Franco Montemaggiore e poi ancora all’Accademia di Belle Arti di Palermo, allievo di Salvatore Rizzuti e Francesco Gallo, Leto discute la sua tesi su Giacomo Serpotta, suo modello di riferimento e primo innamoramento nel campo dell’arte già da bambino a seguito del padre con cui scopre nella vicina chiesa dell’Assunta in via Maqueda la magia del bianco scultoreo.

Uno sperimentatore Leto, con radici ben salde nella tradizione artistica palermitana, orgogliosamente ancorato alla dimensione popolare del quartiere di Ballarò in cui è nato e cresciuto sviluppando allenandola, quella naturale propensione alla costruzione di nuova bellezza con lo sguardo sempre all’insù pronto a scorgerne forme e texture tra modanature e strutture aggettanti, decori e corpi marmorizzati o stuccati, comunque plasmati da talentuosi artisti, anch’essi ben radicati sul territorio.
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Un radicamento che lo scultore palermitano sente anche durante la parentesi dell’insegnamento campano, immaginando progetti e realizzando opere decisamente identitarie della millenaria storia del capoluogo siciliano con un’attenzione particolare alle riletture dei presepi (splendido quello costruito all’interno di ideale chiostro siculo-normanno), alle acquasantiere in forma di ex-voto, alle architetture iconiche cittadine (sublime e freschissimo l’altorilievo del Teatro Massimo), alla Santa patrona Rosalia presente in atelier in forme e dimensioni diverse ed esaltanti.

Sperimentatore di tecniche ibride, mai pago degli ottimi livelli già raggiunti, Leto si mostra nel cuore della città vecchia di Panormus come artista attraverso le proprie opere parlanti, alla stessa maniera con cui si mostra nel cuore vecchio di Napoli sotto le vesti dell’insegnante autenticamente formatore, perché è la passione per l’arte a muoverne entrambe le dimensioni “culturali”.

Tracce di poesia surrealista e prossimità a certo linguaggio di Rizzuti, sono presenti nella costellazioni di sculture che Leto ha abilmente selezionato e giustapposto nei 16metri quadrati di spazio disponibile all’interno del quale plasma le sue visioni scultoree ogni volta che torna a Palermo.

Una grande ricerca costante ed energica ne contraddistingue la personale e misurata poetica plastica nella costruzione cosciente di masse tese a risucchiare ombre e sguardi attenti, proiettata a generare nuova bellezza scultorea dichiaratamente distratta da ogni forma di facile moda.

Autore della Madre Palermo (2010) visibile sul tetto della Torre di San Nicolò che ogni anno torna a ritoccare e restaurare, Leto ha da tempo intessuto con la materia scultorea un rapporto di fiero confronto che lo porta a sperimentare tecniche e fusioni ibridate d’avanguardia con un occhio attento alla pedagogia insita nei materiali di riciclo, parte dei quali sono confluiti nella grande Santa Rosalia arricchita da preziosi panneggi cristallizzati da cera e gesso sotto i quali respira un vero manichino di recupero.

Da trent’anni questo piccolo scrigno di bellezza scultorea è motore di sinergie e sperimentazioni aperte alla città, candidandosi ad ennesimo luogo iconico della bellezza di un quartiere che ha saputo reinventarsi in chiave turistica nell’ultimo decennio almeno anche attraverso quella prodotta dai suoi artisti in ogni tempo e fino ai nostri giorni.

Non resta che visitarne questi spazi dilatati nella bellezza passionale ed empatica di cui solo la scultura sembra possedere immediate e trasversali letture, per ragionare insieme all’artista e alle sue opere di come il presente possa ancora essere produttore di nuova linfa "artistica" viva e vitale.
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