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Tra boschi, cascate e il cristo (d'acciaio): in Sicilia col buio sembra un presepe

Alla scoperta di in luogo unico nell'Isola che sorge su un versante dei Nebrodi, a circa due ore di macchina da Messina e confinante con Comuni della provincia di Catania

Santo Forlì
Insegnante ed escursionista
  • 1 dicembre 2025

Un paese illuminato di sera come un presepe e un territorio ricco di sfumature autunnali e famoso per la sua storia. Ma la racconto per intero. Il venerdì 21 novembre noi del gruppo Valli Basiliane siamo giunti al paese di Cesarò posto su un versante dei Nebrodi a 1.150 s.m. distante circa due ore di macchina da Messina e confinante con Comuni della provincia di Catania fra cui Bronte.

Considerata l’altezza in cui è ubicato è uno dei comuni montani più popolosi del messinese (2.200 ab.) e vi sono presenti vari negozi ed attività. Lasciate le valigie in hotel abbiamo iniziato il nostro giro per il paese che presenta qualche bella piazzetta, dei palazzi nobiliari e delle chiese di notevole interesse.

Il parroco locale ci ha fatto visitare la Chiesa Madre riccamente adornata con marmi pregiati, in buono stato di conservazione dopo il restauro degli anni 80 eseguito esclusivamente con il generoso contributo dei fedeli. Fra tutti i quadri e i dipinti è notevole un crocifisso ligneo della scuola di Giotto. Abbiamo poi continuato soffermandoci a guardare il palazzo Zito, intanto sono calate le prime ombre della sera ma non ci siamo fermati.

Proprio sull’imbrunire siamo giunti in alto a qualche chilometro di distanza dal centro abitato e siamo giunti alla piattaforma dove era collocata a seguito di una lunga scalinata la statua in acciaio del Cristo della montagna che con le sue braccia allargate e distese sembra voglia abbracciare e proteggere tutto il territorio circostante.

Ormai s’era fatto buio e dall’alto vedevamo il paese con tutte le sue luci che sembrava un grande presepe illuminato. Siamo ridiscesi per le sue vie non del tutto silenziose ma ancora discretamente animate con diversi bar pieni di avventori. La mattina dopo con un’aria frizzantina siamo andati più in alto nei boschi per delle trazzere e sentieri ben tracciati. Il manto boschivo predomina nella parte superiore dei rilievi montuosi, invece più in basso si vedono larghe distese di prati e seminativi.

È questa una vallata molto ampia non eccessivamente serrate fra le montagne incombenti come succede a molte altre. Questo paesaggio ricorda molto quello che ho visto a Corleone. Camminando ci siamo beati gli occhi dei colori autunnali. Sul terreno c’erano tappeti di foglie bicolori verdi più scure e gialle.

Le più brune e dalla forma più arrotondata appartenevano alle roverelle, le più chiare e dalla forma lanceolata erano invece dei cerri. Sollevando lo sguardo sulle nostre teste parimenti vedevamo delle fronde dorate ed altre brune. Ma qualche volta ci siamo imbattuti anche in peri selvatici il cui fogliame era di un giallo ancora più luminoso e sfavillante. Ad altezza minore abbiamo apprezzato pure il rosso delle bacche di biancospino e di quelle più grandi delle rose canine disposte a cespuglio.

La giornata anche se fredda era illuminata dai raggi solari e tutto il paesaggio era chiaro e nitido. Camminavamo in boschi di nuovo impianto fra alberi giovani dal tronco e dai rami abbastanza esili. Ma dopo ci siamo imbattuti in un albero dal fusto bello robusto ed abbiamo pensato che esso doveva essere un loro nonno. Ne abbiamo visto un altro ancora più largo che aveva perso la forma rotondeggiante per assumerne un’altra di trapezio irregolare ed abbiamo convenuto che questo doveva essere un trisavolo. Siamo giunti al punto più alto del nostro cammino dove era collocato l’obelisco di Horatio Nelson.

Verso l’ora di pranzo dopo avere passato mezza giornata in mezzo al foliage autunnale, ci siamo rifocillati con un frugale spuntino ma innaffiato con dei bicchieri di vino. In seguito abbiamo raggiunto le nostre macchine che in un percorso in discesa ci hanno portato alla località di Maniace. Qui ci siamo nuovamente incamminati questa volta sul piano e dopo una breve arrampicata siamo giunti ad un laghetto, un bello e quieto specchio d’acqua a cui facevano da degna cornice assiepamenti di cardi lanaioli alti con efflorescenze bianche e adatti come pianta ornamentale o come abbellimento dei presepi.

Ancora una breve arrampicata in mezzo a dei canneti e siamo arrivati in vista della cascata delle Balze che scendeva bianca spumeggiante in mezzo ad un groviglio di verdi felci. I luoghi che abbiamo visitato rivestono un particolare rilievo per gli avvenimenti storici che vi si sono svolti. Essi infatti nel 1799 hanno fatto parte della ducea di Bronte assegnata dal re Ferdinando IV all’ammiraglio inglese Nelson in segno di riconoscenza per averlo scortato con la sua nave Vanguard durante la sua fuga da Napoli in seguito alla costituzione della repubblica partenopea.

Sono passati alla storia anche per la rivolta del 1820 e per l’eccidio di Bronte nel 1860 in cui i contadini stanchi dei soprusi si sono ribellati ai cappelli ( I nobili ) facendone strage. Dopo sono stati duramente puniti dal generale garibaldino Nino Bixio che sommariamente ha giustiziato alcuni rivoltosi. Per gli altri c’è stato un lunghissimo processo che si è concluso con molte condanne.

A tal proposito Giovanni Verga ha scritto la famosa novella "Libertà" in cui narra tali avvenimenti e che alla fine si conclude con la frase di un carbonaio condannato che disse: «Ma non avevano detto che c’era la libertà? Non mi è toccato manco un palmo di terra!». Ciò riassume una delle più tragiche contraddizioni del nostro Risorgimento.
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