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Tra i più antichi musei archeologici d'Italia: il Salinas di Palermo racconta tutta la Sicilia

Ad Antonio Salinas dobbiamo le intuizioni e le campagne di scavo che hanno permesso al museo di diventare oggi il tempio della didattica attiva e partecipata

Danilo Maniscalco
Architetto, artista e attivista, storico dell'arte
  • 12 novembre 2021

Il Museo archeologico Salinas

Pochi luoghi sono in possesso di tutte le carte in regola per rappresentare pienamente il ponte culturale ideale tra passato e futuro come costantemente messo in atto dal Museo Archeologico Regionale Antonio Salinas di Palermo.

Una sacralità densa di pathos avvolge letteralmente il complesso monumentale progettato da Antonio Muttone per i padri della Congregazione di S. Filippo Neri che, sebbene non nasca come sede museale bensì più volte riadattata come tale, trasmette ancora oggi quel senso di pienezza monumentale tipico della grande architettura, qui animato strepitosamente dalle storie dei frammenti di bellezza Antica che l'istituzione museale custodisce ormai costantemente da oltre due secoli.

Pietra miliare di matrice museale nel racconto della vita stessa del Mare Nostrum, il Salinas rappresenta una tra, se non addirittura la più antica realtà museale archeologica italiana (precedente al Museo Archeologico di Napoli) essendosi di fatto costituito come collezione museale nel 1814 con le collezioni della Regia Università di Palermo, grazie al mecenatismo di Giuseppe Emanuele Ventimiglia, principe di Belmonte e Carlo Cottone principe di Castelnuovo.
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E arricchitasi di reperti e testimonianze artistiche durante la guida della Commissione di Antichità e Belle Arti di Sicilia da parte del duca di Serradifalco Domenico Lo Faso di Pietrasanta proprio con i materiali di scavo provenienti dalle diverse campagne archeologiche già dal 1827, a cui si aggiunsero le grandi donazioni dei Borbone e della collezione Astuto.

La soppressione degli ordini religiosi ed il conseguente passaggio al demanio del neo Stato italiano del convento così trasformato in museo, trovò la fortunata condizione della sede accordarsi con la grande storia quando nel 1873 ne divenne direttore per circa un quarantennio quel gigante dell’archeologia moderna che fu Antonio Salinas.

Furono molti dopo di lui gli archeologi che contribuirono con passione e competenza a rendere l'attuale sede museale, quel tassello culturale prezioso e inderogabile nel passaggio siciliano di ogni studioso e turista ma, il Salinas è Antonio Salinas a tal punto da poterne sentire in qualche maniera la suggestiva presenza dei passi con le braccia incrociate sulla schiena, durante l’intera visita.

A quell'uomo di cultura, appassionato e lungimirante, talentuoso e generoso (lascerà la sua biblioteca e l'intera collezione personale di opere al museo), folta capigliatura e grossi baffi, dobbiamo ancor oggi la regia di intuizioni e campagne di scavo che, nel portare fisicamente qui frammenti di quella grande Antichità mediterranea di Sicilia, hanno di fatto orientato il museo a divenire il tempio della didattica attiva e partecipata e del cosiddetto “tempo liberato”.

Sicani, Siculi ed Elimi, Punici e Fenici, Cartaginesi, Greci e Romani, persino gli Etruschi (della collezione Casuccini), nella complessità dei frammenti di reperti dall’inestimabile valore a trecentosessanta gradi, si trovano ad esser custoditi all'interno delle molteplici sale del Museo sotto forma di “anime mediterranee” in continuo rapporto col presente attraverso la valorizzazione seguita all’ultimo ordinamento e progetto museografico condotto dall'architetto Stefano Biondo una decina di anni fa.

«Si trova qui raccontata e raccolta idealmente tutta la Sicilia», ci tiene a ricordare l'ottima Caterina Greco, archeologa e direttrice del Salinas soltanto dal luglio 2019, ma motore propulsivo di iniziative tout court collateral determinanti e pragmatiche, costruite sul doppio binario della conoscenza e valorizzazione della collezione museale e della mission inclusiva e di apertura ai più disparati segmenti socio-culturali degli spazi e della bellezza del museo.

«Abito tradizionale ma cuore moderno – ci spiega ancora la direttrice – legame a cui il museo già dal 2016 ha volutamente orientato la sua vocazione social per esempio con l'iniziativa Salinas’s people».

E non ha dubbi, alla domanda su quale sia tra tante possibili icone quella più rappresentativa del Salinas contemporaneo risponde senza pensarci un attimo.

«È lei, la metopa del ratto di Europa ad opera di Zeus trasformato in toro sul mare solcato da delfini, proveniente dall’Acropoli Selinuntina, datata VI secolo a. c. È una delle più antiche rappresentazioni esistenti al mondo del tema in scultura e ci racconta sotto forma della metafora di Zeus che rapisce la figlia del re fenicio, di quella prima colonizzazione greca».

Non è facile riuscire a sintetizzare la qualità nella quantità della bellezza artistica dell’evo antico qui custodita, ma risulta necessario ricordare che nell'unico livello dei tre del museo finora fruibile, quello afferente il piano rialzato, vi sia in attesa della nostra rinnovata curiosità di cittadini siciliani ed europei consapevoli, una tra le narrazioni più esaustive e corali, a tratti commovente, dell’archeologia mediterranea in un continuum che permette salti temporali suggestivi e coinvolgenti.

È così, che armonizzati in un percorso che si dipana tra i due chiostri interni, trovano spazio i geroglifici della Pietra di Palermo, numerosi reperti fenicio-punici come la statua acefala proveniente da Mothya, i due suggestivi sarcofagi antropoidi femminili provenienti da Pizzo Cannita, le statue raffiguranti Agrippina Maggiore, lo Zeus di Solunto risarcito da Vincenzo Villareale, lo Zeus Urios, l'imperatore Claudio, tutte contraddistinte da analoghe pose classiche.

E ancora sarcofagi strigilati, a doppio registro con clipeo centrale o a vasca di periodo greco, romano e paleocristiano, steli votive dal santuario selinuntino di Zeus Melichios, l’Efebo bronzeo e ancora il frontone con la Gorgone centrale del tempio C, le teste leonine provenienti dal tempio dorico di Himera, la bellezza della singolarità eclettica delle due sale dimora delle metope con sfingi, quadrighe, Eracle, gorgoni e personaggi mitologici tutte provenienti dalla “New York del VI sec. a. c.” che fu Selinunte, avamposto greco più ad Occidente, città tra le più ricche e dinamiche della colonizzazione ancor oggi capace di restituire stupore e pagine di nuova consapevolezza.

Interessante è inoltre la sezione di arti decorative con le sue arule ed edicole votive, crateri e vasi, bicchieri, anfore e piatti, pissidi e lucerne, monili e gioielli, ma è ancora una volta la scultura ad svolgere un ruolo di primaria importanza con l’ariete bronzeo e l'atleta in lotta col cervo, i ritratti di imperatori e dee, di guerrieri, satiri e sileni, Aristotele, Cesare e addirittura un frammento del piede di Pitho (dea della persuasione) proveniente dal fregio del Partenone dell’Acropoli e giunto in Sicilia attraverso la donazione del console inglese Sir R. Flagan.

Se come ci ricorda la direttrice, il materiale presente negli archivi e nei depositi del Salinas continua a parlare a distanza di oltre un secolo dalla sua collocazione, non possiamo che registrare la propensione di questa eccellente struttura museale alla natura delle contaminazioni giunte in maniera diretta dalla nostra veloce contemporaneità sempre più integrata alla tecnologia.

Nel panorama dell'offerta museale di matrice archeologica, la visita al Salinas non può che essere punto fermo per studiosi e amanti del bello.

Allo stesso modo esso si è già candidato per essere, attraverso conferenze, presentazioni di libri, piccole mostre collaterali e iniziative culturali di varia natura, uno dei luoghi della cultura siciliana più amati e apprezzati dell'isola.

Sintomo di quella eccellenza raggiungibile quando al vertice di un gioiello identitario come è il Salinas, giungano studiosi competenti e brillanti, pienamente immersi in quella narrazione coerente della storia da far amare con parole semplici e ordinate e dirette.
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