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Un capolavoro di respiro europeo a Palermo: l'Archivio comunale, 140 anni e non sentirli

Ci sono edifici che restano icone nel tempo, hanno una rara monumentalità e attraversano gli umori del tempo conservando la freschezza originaria di un tempo

Danilo Maniscalco
Architetto, artista e attivista, storico dell'arte
  • 1 gennaio 2023

L'Archivio Storico comunale di Palermo

Icone nonostante tutto, alcuni edifici, caricati di una rara monumentalità esclusiva, attraversano gli umori del tempo conservando la freschezza originaria di un tempo.

È il caso dell’Archivio Comunale che Giuseppe Damiani Almeyda progetta a Palermo e realizza a partire dal 1881 nella carne viva della vecchia topografia a ridosso tra il vicolo della Meschita e il complesso di San Nicolò da Tolentino.

Capolavoro di respiro europeo, 20 metri per lato, l’impianto immaginato dal progettista in piena temperie positivista ad alimentare i neoclassicismi spinti del secolo del ferro, si anima attraverso la semplicità di uno spazio retto in pianta e alzato da quattro robusti piloni baricentrici rispetto alla possente cortina muraria perimetrale, con una raffinata copertura lignea cassettonata ad occultare le capriate di copertura superiori.

Se la monumentalità dei prospetti è affidata alla pelle di intonaco colorato rosso, giallo e grigio di matrice Neorinascimentale, lo spazio interno è amplificato dalla funzionalità delle quattro pareti perimetrali a contenere faldoni a tutta latezza ai diversi livelli, in una dimensione estetica di ascensionalità dilatante in cui la tecnologia ottocentesca di mensole e ballatoi in legno e metallo trova sintesi di grande prova nella scala elicoidale in legno di raccordo ai diversi livelli, vero e proprio capolavoro di tecnologia ed ergonomia.
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Funzionali alla vita stessa delle attività di contenimento e studio sono le aule collaterali, gli spazi di lettura e studio oggi divenuti anche, nella flessibilità dell’uso contemporaneo, spazi per interessanti mostre documentarie.

I wc sono posizionati nello spazio semi-ipogeo mentre un piccolo cortile interno consente ancora oggi la possibilità di pausa all’aperto pur rimanendo all’interno del complesso.

Non stupisce affatto la grande versatilità compositiva di un progettista capace di incidere nell’Italia postunitaria con esemplare indipendenza stilistica tanto nel Neopompeiano del Teatro Politeama, quanto nel Neorinascimento di questo rarissimo presidio di cultura affidato alla memoria.

Un luogo vivo, vivissimo, all’interno del quale la storia esce da incartamenti e faldoni apparentemente inerti per costruire sempre più inediti approfondimenti sul nostro denso passato, in quell’arco temporale che dal terso Duecento circa giunge all’inizio della brutale parentesi del sacco edilizio.

Centoquaranta anni e non sentirli, merito dell’istituto culturale incarnato dal "progetto di architettura" e merito del progettista, raffinato e capacissimo interprete del proprio felicissimo tempo.
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