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Niente piramidi misteriose: sull'Etna torrette agricole vecchie "solo" 200 anni

Antiche o no, le piramidi andrebbero valorizzate per il loro significato storico e paesaggistico: incrementano l’offerta culturale e turistica dei paesi alle falde dell’Etna

  • 19 giugno 2017

una delle Torrette agricole dell'Etna

«Vorrei vedere le piramidi di Cheope, ma sono miope» cantavano i Vallanzaska con il loro ska fresco, scanzonato e anche un po’ nonsense, e a quanto pare anche nella nostra isola la voglia di vedere affascinanti edifici simili ai manufatti egizi (o di altre culture) è insaziabile.

Prova ne sono l’entusiasmo e la curiosità generati dalla presenza di alcune strutture piramidali nella campagna etnea.

Ne abbiamo parlato giorni fa, intervistando l’egittologa Antoine Gigal, che ha avanzato una tesi estremamente affascinante sulla loro origine: le piramidi ai piedi dell’Etna sarebbero state costruite dai Šekeleš (si legge Shekelesh) o dai Sicani più di duemila anni fa.

Una tesi appunto, non supportata da ricerche o prove scientifiche e ancora oggi senza un solido studio di base. Una visione comunque avvincente, basata su un breve viaggio di ricerca in Sicilia, durante il quale la studiosa avrebbe rinvenuto altri manufatti piramidali, oltre a quelli etnei, ed in particolare nell’area del nisseno.
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Il caso dell’Etna sembra però non essere avvolto da alcun antico mistero, come spiega Fabrizio Meli, biologo e consulente del paesaggio, che è anche esperto del paesaggio terrazzato etneo.

«Le strutture di forma piramidale rinvenute nella campagna etnea si chiamano in realtà ‘turrette’ e sono parte integrante del nostro paesaggio agrario da circa duecento anni». Si tratta infatti, comunque di manufatti risalenti a tanto tempo fa.

Le ‘turrette’ (o torrette, in siciliano) sarebbero dunque cumuli di blocchi di roccia vulcanica, impilati a secco durante i lavori di aratura e sistemazione dei terreni per le coltivazioni.

«Nel corso della lavorazione dei terreni coltivabili - continua Meli - emergeva spesso la matrice rocciosa che, impedendo le fasi di impianto e coltivazione, doveva essere eliminata. Per fare ciò, veniva scelta una zona del terreno non coltivabile, dove poter sistemare la catasta di rocce, che venivano ordinate costruendo solide basi con muri a secco e procedendo per piani, fino ad un massimo di tre».

Il metodo dunque appare molto chiaro, gli agricoltori individuavano una zona del proprio terreno che potesse ospitare il cumulo di rocce derivate dalle operazioni di “spietramento” del suolo (generalmente una zona inutilizzabile, o ai margini della proprietà).

Si procedeva con la realizzazione della base, di forma quadrata o rettangolare o di altre forme a seconda dello spazio disponibile tramite lo stendimento di un primo strato di pietre, e poi si procedeva a edificare un massimo di tre livelli sovrastanti, di forma analoga alla base ma di dimensioni via via inferiori.

Rampe di scale in pietra tra i singoli livelli venivano realizzate contestualmente per permettere il trasporto delle rocce dal campo. Il risultato finale è dunque la ‘turretta’, edificio piramidale a gradoni, che poteva poi anche essere parzialmente o totalmente smantellato per la costruzione di muretti a secco, massicciate laterali, o per il fondo di carrarecce e mulattiere.

«Ancora oggi si conservano molte ‘turrette’ nel nostro territorio, non solo sull’Etna ma anche sui Monti Iblei - continua a spiegare Fabrizio Meli - nel territorio di Ragusa, per esempio, lo spietramento dei terreni coltivati ha contribuito alla costruzione di strutture di questo tipo, ma anche e soprattutto dei tipici muretti a secco, caratteristici delle campagne iblee».

Nessuna piramide sicana dunque sull’Etna, a quanto pare, ma una serie di manufatti di ben più recente costruzione, testimonianze della civiltà contadina etnea e soprattutto dello stretto rapporto tra uomo e vulcano.

Un patrimonio che vale comunque la pena difendere da eventuali speculazioni edilizie, istituendo magari un vincolo di tutela e conservazione per queste strutture.

«Ho chiesto che venisse fatto un censimento delle strutture al Parco dell’Etna, soltanto conoscendo il numero di manufatti e promuovendone uno studio intensivo si potrà pensare a valorizzare questo patrimonio storico». conclude Meli.

Una storia simile a quella delle sei piramidi di Güímar, nelle isole Canarie, ma con esiti completamente diversi. Ritenute, da alcuni archeologi, appartenenti ad un’antica civiltà, sarebbero invece frutto dello spietramento dei campi coltivati, pratica peraltro molto comune anche in quelle isole, durante la seconda metà del XIX secolo.

Antiche o no, le piramidi delle Canarie fanno parte oggi di un grande parco etnologico visitato ogni anno da migliaia di visitatori. Un esempio a cui dovremmo guardare, per spingere le istituzioni a tutelare e recuperare le ‘turrette’ etnee, valorizzando il loro significato storico e paesaggistico, e incrementando l’offerta culturale e turistica dei paesi alle falde dell’Etna.
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