“D'un Sileno, di volti anatolici”: 20 sculture in bronzo e terracotta di Giuseppe Cuccio
In esposizione alla Galleria Elle Arte, venti sculture in bronzo e terracotta di recente realizzazione che raccontano il composito universo artistico di Giuseppe Cuccio, attingendo le tematiche ora dal mito, ora dalla storia, nella mostra dal titolo "D'un Sileno, di volti anatolici".
«Terracotta e legno, marmo e bronzo - scrive Aldo Gerbino nel testo di presentazione - ci dicono dunque dell’uso insistito della mano, del plasmare calchi e il corpo crudo dell’argilla. Su tali note di materia non può che affiorare il registro espressivo di Giuseppe Cuccio, giocato sulla fabrilità, sulle tattili pieghe, più o meno ardue, delle materie.
E qui, nell’intensa e contenuta antologia scultorea di Cuccio, assistono, con noi contemporanei, volti anatolici pronti a riappropriarsi della pietà, della commozione, mentre canti e inni serpeggianti tra pietre, terrecotte, bronzi (come il volto assorto e immalinconito dal tempo nell’efficace Testa femminile, bronzo, 2010) e frammenti marmorei disperdono il silenzio che pertiene alla scultura: stoffa accolta nel racconto del mondo, nel viaggio archetipico cui ogni generazione sembra essere spinta a ripetere tra visione e ri-creazione, tra radici e memoria.
Con Pegaso, ninfe, arcaici torsi in travertino e pupille percorse dalle salsedini dell’Asia minore in cui gettò il suo sguardo ampio Europa figlia di Agenore, Giuseppe dice, infine, della persistenza del seme, della nostalgia alimentata dalla presenza dei padri».
«Terracotta e legno, marmo e bronzo - scrive Aldo Gerbino nel testo di presentazione - ci dicono dunque dell’uso insistito della mano, del plasmare calchi e il corpo crudo dell’argilla. Su tali note di materia non può che affiorare il registro espressivo di Giuseppe Cuccio, giocato sulla fabrilità, sulle tattili pieghe, più o meno ardue, delle materie.
E qui, nell’intensa e contenuta antologia scultorea di Cuccio, assistono, con noi contemporanei, volti anatolici pronti a riappropriarsi della pietà, della commozione, mentre canti e inni serpeggianti tra pietre, terrecotte, bronzi (come il volto assorto e immalinconito dal tempo nell’efficace Testa femminile, bronzo, 2010) e frammenti marmorei disperdono il silenzio che pertiene alla scultura: stoffa accolta nel racconto del mondo, nel viaggio archetipico cui ogni generazione sembra essere spinta a ripetere tra visione e ri-creazione, tra radici e memoria.
Con Pegaso, ninfe, arcaici torsi in travertino e pupille percorse dalle salsedini dell’Asia minore in cui gettò il suo sguardo ampio Europa figlia di Agenore, Giuseppe dice, infine, della persistenza del seme, della nostalgia alimentata dalla presenza dei padri».
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