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A ora di nozze in Sicilia mamma mia pensaci tu: la storia di "C'è la luna 'n menzu o mari"

Una canzone intramontabile infarcita di "doppi sensi", il testo orbita intorno a una discussione tra madre e figlia su una questione intricata come il matrimonio

Francesca Garofalo
Giornalista pubblicista e copywriter
  • 29 aprile 2024

Una frame dal film "Matrimonio all'italiana"

Una musica da tarantella che se percepita dall'udito umano, vengono meno compostezza e rigidità muscolare. Trascina con sé mani e corpo che si agitano a ritmo inarrestabile fino all’ultima nota dialettale, quella di “C'è la luna 'n menzu o mari - C’è la luna in mezzo al mare”.

Canzone intramontabile della tradizione popolare siciliana, entrata nell’immaginario comune come emblema della musica meridionale e nel mondo, come simbolo di italianità.

Il testo, composto da un autore sconosciuto, è prettamente umoristico e orbita intorno a una discussione tra madre e figlia su una questione "intricata": il matrimonio.

Il testo è semplice e orecchiabile e, sebbene esistano musica e testi parzialmente correlabili alla canzone del 1835 La danza di Gioachino Rossini e Carlo Pepoli, bisogna attendere il 1927 per la presentazione al mondo come la conosciamo oggi.

Un anno in cui la canzone viene arrangiata e registrata per la prima volta dalla Brunswick Records di New York nella versione del marinaio siciliano Paolo Citorello (che cantava e suonava a orecchio i motivi popolari) insieme al Trio Sciascia con il titolo Luna mezzomare.
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Ma veniamo al testo. Calderone dei possibili spasimanti sciorinati dalla madre a cui la figlia affida il suo futuro amoroso; ognuno, appartenente a una professione con attrezzi del mestiere e anche… allusioni sessuali.

Eh già, perché il testo è pieno di riferimenti all'organo sessuale maschile. Largo dunque, al primo pretendente: un barbiere che, ben lungi dal factotum della città di Rossini, parrebbe fedele alla figlia anche se può avere un attimo di fantasia o di pazzia e prenderla a colpi di "rasoio": "Si cci pigghia la fantasìa mi rasulìa la figghia mia - Se gli prende la fantasia la prende a colpi di rasoio la figlia mia”.

Ma ahilui, viene scartato. E a salutare questa opzione ci pensano due righe frammiste a nonsense e rassegnazione: "O mammà, pesce fritto baccalà - O mammà, pesce fritto baccalà".

Avanti un altro dunque! Ed ecco arrivare un falegname che con la "pialla" non migliora la situazione: chissà in preda alla fantasia cosa possa fare. Così ci si rifugia nella figura del calzolaio che va e viene con un "martello" in mano.

Ma niente da fare, atroce destino anche per lui. La madre però nella disperata ricerca di un pretendente non demorde e cita un contadino, ma anche lui chissà con la sua "zappa" cosa potrebbe fare. Ni viremu! La canzone fa, poi, riferimento a un macellaio e alla “salsiccia”. Beh, inutile dilungarsi sull’analisi dettagliata di questo verso; così come un pescatore con il suo "pesce" e un giardiniere con il "cetriolo". Le parole, a volte, sono veramente superflue.

E se per i cuori pudichi o le orecchie velate da tabù il testo pare troppo volgare, allora non fa per voi neanche la versione Lazy Mary di Lou Monte del 1958 con tanto di pompiere.

Bandita dalle trasmissioni britanniche per sconcezza, nella metà degli anni ‘90 diviene, grazie a un sondaggio dei fan, la colonna sonora di tutte le partite della squadra di baseball New York Mets, e per di più in uno stadio pieno di famiglie.

Alla faccia della sconcezza! Un testo, quindi, pieno di allusioni che richiama quasi il gioco "Chi butti giù dalla torre" solo che, in questo caso, non ci sono superstiti.

Indice, forse delle paure di una madre per la propria figlia illibata o pretese troppo alte? Supposizioni a parte, il ritmo vivace della canzone travolge, tanto da divenire nel tempo cover versatile per molti artisti internazionali con un siciliano anglo italianizzato come Oh! Ma-Ma! di Rudy Vallée, Luna mezzo mare di Dean Martin e Che-la-luna di Louis Prima.

E dal 2022 proprio questa versione diventa un tormentone di video su TikTok girati in Italia e in quelli statunitensi che mostrano le cose con e senza senso in casa loro.

Tutto accompagnato da un luogo comune: il gesto della mano a pigna (cuppino o tulipano che dir si voglia) dal particolare moto oscillatorio rivolto all'interlocutore. Altrettanto significativo è l’uso della canzone, sia al Sud che negli States tra la comunità italo americana, durante celebrazioni nuziali.

Lo stesso regista Francis Ford Coppola nell’intro de Il Padrino (1972) usa il brano proprio per la scena del matrimonio di Connie, figlia di Don Vito Corleone. E a cantare con un certo affruntu (vergogna) è mamma Corleone; solo che in questo caso alla fine della canzone lo spasimante è un manovale.
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