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Arancina o arancino? "Un si nni po chiù…" : la verità sul tormentone che nessuno vi dice

Ne parleremo in maniera diversa del solito, sfatando alcuni luoghi comuni e riproponendo un’ipotesi, probabilmente la più veritiera, che può accontentare tutti

Fonso Genchi
Presidente dell'Accademia della Lingua Siciliana
  • 13 dicembre 2023

Arancina o arancino? Sinceramente, ‘un si nni po chiù… Un tormentone che è il caso di far terminare. Ma qui ne parleremo in maniera diversa del solito, sfatando alcuni luoghi comuni e riproponendo un’ipotesi - che già avevamo esternato in un giornale online nel 2015 - probabilmente la più veritiera, che, involontariamente, potrebbe accontentare tutti.

Cominciamo dall’origine di questa prelibatissima leccornia della gastronomia siciliana. Spesso si legge: "l’arancina ha origini arabe", “ce l’hanno portata gli arabi”. Ma neanche per sogno.

Se davvero l’arancina risalisse al periodo della Sicilia ‘araba’ - a parte che andando nel mondo arabo la dovremmo trovare ancora oggi in qualche posto (come fa a scomparire una pietanza così buona?!?) e invece non ce n’è traccia – certamente troveremmo delle attestazioni scritte del termine molto antiche.

Per esempio, di un’altra famosa prelibatezza siciliana, la cassata, ci sono attestazioni, in latino e in siciliano, già dal XIV secolo (1312 lat. cassatas; 1348 sic. cassata); il termine è registrato persino nel dizionario Siciliano-Latino dello Scobar del 1519 (cassata di ova: pastillus caseatus). Invece, per quanto ci è dato sapere, dell’arancina/o niente di niente.
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La prima attestazione di questo termine indicante una pietanza, ancorché definita "dolce", è relativamente recente; il primo dizionario che la menziona è il Del Bono (Palermo, 1857): "dicesi fra noi una vivanda dolce di riso, fatta alla forma della melarancia".

Gli arabi forse ci avranno pure insegnato a cuocere il riso con lo zafferano ma la gustosa palla di riso, ripiena e impanata e resa dorata esternamente dalla frittura, è una invenzione certamente tutta siciliana.

Un altro luogo comune che va sfatato è quello secondo il quale la Sicilia sarebbe perfettamente spaccata in due: nella parte occidentale impererebbe “arancina” e in quella orientale "arancinu" (arancino in italiano). Niente di più falso.

Questa divisione così netta non esiste. Se vi capitasse d’aviri pitittu e di vuliri accattari stu pezzu di rosticceria siciliana trovandovi in provincia di Ragusa, potreste tranquillamente chiedere n’arancina.

Infatti in quasi tutto il ragusano la si declina al femminile, così come nella parte meridionale della provincia di Siracusa (e siamo nella parte più orientale della Sicilia!).

Al contrario, in Sicilia occidentale si dice arancinu in diverse zone della provincia di Agrigento; c’è un enclave di “arancinu” persino in provincia di Palermo come, del resto, anche “arancina” si ripresenta in alcuni comuni della provincia di Messina.

Ma veniamo alla vexata quaestio, spesso dibattuta, con non poche gaffes, da presunti esperti, soprattutto siciliani: quale delle due versioni, la femminile o la maschile, sarebbe più corretta dal punto di vista linguistico?

Se il nome di questa prelibatezza è stato coniato originariamente in lingua italiana e significa "piccola arancia", allora in italiano attuale sarebbe più corretto dire "arancina". Infatti in italiano oggi il frutto dell'arancia è femminile.

Ma nel XIX secolo - quando, con tutta probabilità, fu inventata questa pietanza - era oscillante tra i due generi e questo giustificherebbe l’attestazione su parte del territorio siciliano e, con una certa prevalenza, in lingua italiana di "arancino".

Se, invece, il nome originariamente è nato in lingua siciliana, allura si sbagghiaru tutti; infatti, non significherebbe “piccola arancia” perché in lingua siciliana “piccola arancia” non si dice arancinu né arancina ma piuttosto aranciteddu, come ben sa chi parla veramente in siciliano e chi si prendesse la briga di controllare tutti i dizionari esistenti (vedere immagine).

Questo misunderstanding generale fa riflettere: in certi casi, di fronte alla lingua siciliana si è come di fronte alla morte, tutti uguali; può persino capitare che su un dato aspetto ne capisca di più un ignorante che la parla piuttosto che un erudito che la studia soltanto.

E veniamo al dunque: in siciliano il termine arancinu esiste ma è un aggettivo; vuol dire "dorato, aranciato, arancione" (vedere immagine). Sarebbe, dunque, un aggettivo sostantivato, dato al manicaretto in questione in virtù della doratura della sua parte esterna.

In questo caso, entrambe le versioni possono considerarsi linguisticamente corrette, essendosi originate quella al femminile dall'accostamento a un nome femminile (probabilmente badda, badda arancina = palla dorata) e quella maschile dall'accostamento a un nome maschile.

Entrambi i nomi, pi jiri a l’accurzu, sono poi scomparsi ed è rimasto l'aggettivo usato come sostantivo.

Però, qualunque fosse la genesi del nome, di fronte ad un uso oramai così diffuso e consolidato dei due termini nelle diverse aree, perché si dovrebbe pretendere di giudicare corretto l’uno e scorretto l’altro?

Probabilmente è la stupida rivalità campanilistica tra Palermo e Catania ad aver acceso il dibattito e a pretendere la supremazia dell’una o dell’altra versione. Impariamo, invece, ad aprirci e ad accettarle entrambe come corrette, così come facciamo, ad esempio, in italiano con orecchio e orecchia.
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