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Gli anni della Belle Époque a Palermo: c'è un "Palazzo-Cinema" a due passi dal Teatro Massimo

Nel Palazzo-cinema Biondo-Santangelo in piazza Verdi, costruito nel 1922 da Giovan Battista Santangelo, due anime si fondono in un simposio artistico e tecnico travolgente

Danilo Maniscalco
Architetto, artista e attivista, storico dell'arte
  • 19 ottobre 2021

Dettaglio di Palazzo Biondo a Palermo

Erano anni eroici quelli della Belle Époque, persino quelli del lungo crepuscolo. Per quella fetta di ricca borghesia emergente che non poteva magari permettersi i progetti di Ernesto Basile, esisteva la schiera di eccelsi allievi ed epigoni del maestro di Montecitorio a cui affidare comunque i propri "desiderata" e non solo.

Francesco Paolo Rivas, Vincenzo Alagna, Salvatore Benfratello, Ernesto Armó, Salvatore Caronia Roberti, Giovan Battista Santangelo, protagonisti tutti di quel gusto Liberty elevato a mediumstilistico dallo stesso Basile, e che faceva delle nascenti Via Libertà e Notarbartolo, della città guardino di Mondello unitamente alla nascente via Roma e agli spazi residui del Ring delledemolizioni murarie spagnole, le icone di una travolgente bellezza di maniera, molto prossima alle coeve sperimentazioni artistiche di capitali del gusto europeo come Vienna, Glasgow, Barcellona, Lubiana.

Una sequenza ordinata e ritmica di “Villini” e palazzi al centro di lotti dai giardini lussureggianti, capaci di rappresentare un continuum di habitat a destra e sinistra degli assi viari di concezioneottocentesca ma dal fortissimo slancio modernista, da attraversare lentamente al ritmo di carrozze ecavalli o con le prime automobili, inebriati dai profumi di quella Conca d'Oro ancora generosamente caratterizzata dall'odore di gelsomino e di zagara, in cui palesata era la dimensione spirituale del rapporto tra natura e costruito, segno abbastanza palese del portato floreale Art Nouveau .
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Di questi progettisti pionieri, tutti formatisi alla Regia Scuola di ingegneri e architetti dove i Basile insegneranno ben oltre mezzo secolo, abbiamo perso la memoria mentre il sacco edilizio divorava nell'olocausto Liberty le loro creazioni sostituendo la bellezza e la misura con la banalità del male di quel cemento armato condominiale, già oggi vetusto e cadente.

Malgrado la mattanza artistica diffusa, tracce di bellezza sociale dell'arte si sono salvate e se il Villino Sergio invia Isidoro la Lumia entra a far parte di questo elenco infinito di desaparesidos, non c'è cittadino palermitano che ogni giorno non traguardi un frammento di ciò che ne rimane posando lo sguardo sul "castello" di Monte Pellegrino, sullo Stadio Barbera e sul Palazzo “Castello” Utveggio, stiamo parlando di Giovan Battista Santangelo.

Ci concentriamo oggi su di lui, in quanto il 31 gennaio di quest'anno, sono passati cinquantacinque anni esatti dalla sua scomparsa in uno strano silenzio immeritato.

L'architetto-ingegnere Santangelo si laureò giovanissimo a ventidue anni nel 1913, fu anche docente di Idraulica e fu in organico allo I.A.C.P. del Comune di Palermo (l'istituto autonomo case popolari, ndr) per il quale progetta e realizza unitamente a Luigi Epifanio il Quartiere Littorio oggi Matteotti, apprezzato dalla critica quale splendido brano di città giardino attestatosi sul terminare della Via Libertà e caratterizzato dalmisurato monumentalismo, dall’interessante principio insediativo e dal rapporto calibrato tracostruito e spazi verdi e pedonali.

Se nel villino Sergio sfiora il tributo alla Villa Deliella del suo maestro, nel Palazzo-cinema Biondo-Santangelo in piazza Verdi (1922), due anime si fondono in un simposio artistico e tecnico travolgente; se da un lato l'impaginato dei prospetti rimanda ad atmosfere palesemente secessioniste della Vienna Klimtiana in cui il partito decorativo concorre all'eleganza di un più austero sistema di sviluppo planimetrico aggettivato dalle soluzioni angolari ricurve, la genialità del principiostrutturale di questa grande struttura mista, ricorda la gestione delle masse e delle luci di Auguste Perret e Pierluigi Nervi soprattutto nell'ultimo solaio di copertura latero-cementizio nervato e privodi pilastri centrali ma solidale con il cordolo perimetrale di irrigidimento della struttura in muratura sottostante.

Un raro capolavoro ancora troppo poco indagato. Qui, palesato come un capitolo di scienza costruttiva, resta il portato transregionale della ricerca individuale di Santangelo che in quegli stessi anni “lega - come ricorda Sergio Poretti - la produzione di questi straordinari ingegneri-progettisti formatisi alla risoluzione sperimentale diproblemi sempre nuovi e spesso ancora non codificati”.

Incredibili sono ancora quelle le capriate di cemento armato prive di quadri fessurativi o di altrepatologie di degrado strutturale dopo oltre un secolo. Ma Santangelo, è qualcosa di più nel panorama cittadino, egli è il progettista dello Stadio di Calcio della città, almeno dell'edificio precedente alle trasformazioni subite per i mondiali di Italia 90.

Progetta diversi edifici di edilizia economica e popolare in via Terrasanta, un Condominio in Corso Tukory già in cemento armato a ridosso del tracciato delle mura spagnole, il Palazzo Zampardi, il Palazzo Savona ad angolo tra la via Roma e il Cassaro, una stazione radiofonica nel quartiere Uditore (forse distrutta), la chiesa del Sacro Cuore in via Noce.

Anche lui come tutti i suoi colleghi, fu un raffinato progettista di cappelle funerarie. Anche lui come i suoi illustri coevi colleghi meriterebbe maggiore rispetto ed una misura della memoria sicuramente più viva, puntuale e capace di trasmettere il valore del primato culturale sull'abbandono che alimenta il degrado e cancella la memoria in questo irresponsabile e politicamente autoalimentato Alzheimer culturale, simbolo della realtà urbana odierna in forte antitesi con la città che fu altresì per oltre mezzo secolo la città felice dei Florio, dei Withaker e degli Ahrens.
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