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La Fiera di Palermo tra profumo di arachidi e galeone: storia di un rito durato quasi 70 anni

I palermitani affollavano gli stand, dove vedevano i primi computer o i frullatori ad alta velocità. Un continuo incontrarsi e divertirsi, anche nella "casa stregata"

Valentina Frinchi
Freelance in comunicazione e spettacolo
  • 27 settembre 2022

Alle falde di Montepellegrino, nel 1946, viene inaugurato il primo anno della Fiera Campionaria del Mediterraneo con il tentativo di risollevare il commercio e l'artigianato dal dopoguerra. Nascerà un rito, un culto, una tradizione, nel cuore dei palermitani durata quasi 70 anni.

Tanto cuore nei palermitani che affollavano la Fiera rendendo gloriosa l'epoca di 40 anni fa. Era un continuo salutarsi, incontrarsi, stare insieme, acquistare, coccolarsi, divertirsi.

È l'aria di inizio estate, di uscite in vespa con la maglia sulle spalle, c'è aria di giri continui attorno alla caffettiera gigante del "Caffè Morettino", aria di hot dog, di cipolla bruciata, di crepes al Grand Marnier.

E ancora di turni indicibili per arrivare alla Ballerina che pavoneggia mentre guarda il "Castello Utveggio" in tutti i suoi lati, ma è anche lui che guarda lei ogni volta che gira sontuosa con comitive di giovani che sembrano attaccate alla sua gonna.
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C'è poi il "tagadà" per i più spericolati, il galeone per chi ama i brividi, la "casa stregata" per i meno fifoni, gli "autoscontri" per chi ama ridere con uno sguardo.

C'è l'appuntamento dal "cuore di panna", davanti le barche, le piscine e le fontane. Viali con un'atmosfera di pieno benessere, un viavai di gente con la voglia di ritrovarsi in quella libertà e con quella curiosità di conoscere ogni anno qualcosa di nuovo, sia esso elettronico o gastronomico.

C'era un faro, un riflettore, una scia luminosa che partiva da Montepellegrino, una luce visibile da tutta la città, proiettata verso la Fiera che comunicava il suo inizio.

Aria di un Mediterraneo di altri tempi e la creatività di altri popoli: peruviani, indiani, giapponesi. Tappeti, caftani, collane di perline. C'è la musica e l'odore di arachidi tostate e zuccherate, c'è un odore inspiegabile che va dalla via Autonomia Siciliana alla via Ammiraglio Rizzo e che lascia sperare che le cose possano cambiare.

La musica non era solo attraverso la radio e la filoduffusione. Nel palazzo dell'elettricità, c'era un padiglione di strumenti musicali, elegante e ben rifinito, con due ingressi, dove negli anni '79 e '80, esponeva la Ditta Martinez.

E dove il simbolo di quei giorni fu Tullio De Piscopo alla batteria che dava dimostrazioni con delle session di ritmo insieme ad un giovanissimo batterista palermitano Sebastiano Alioto creando attenzioni e folle di gente di appassionati. Eventi fuori dalla moda normale di allora, ricordati nel giornale L'Ora a firma di Gigi Razete.

In Fiera abbiamo scoperto il primo computer, il robot - la prima versione di frullatore veloce, l'aspirapolvere, il primo telefono portatile, il primo stereo a doppia cassetta, il walkman, e i cd.

C'era lavoro per tutti, anche per i volontari, i giovani della città che si apprestavano a fare una piccola esperienza presso uno di quei stand dove non si parlava l'italiano ma dove regnava un intreccio di mode. C'era l'idea vera di accoglienza e scambi culturali a mai finire.

Oggi Palermo è diventata una città multietnica, via Maqueda è piena di empori indiani, l'idea di quella Fiera andrebbe rivisitata ma il commercio di adesso e i palermitani che sono rimasti avrebbero tanto bisogno di un ritorno in piazza Generale Cascino per far ripartire l'economia e il cuore di un'intera città.

E c'è aria di Fiera di nuovo e di nuovo l'estate arriverà, voglio sperare che l'aria resterà e che la Fiera il prossimo anno tornerà.
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