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La nobiltà, i grandi scandali e il Liberty: com'era Palermo ai tempi della Belle ​​​​​​​Époque

Gli splendidi edifici, l'alta borghesia che si mischiava alla nobiltà. E ancora le passeggiate in via Libertà, il gossip e i paparazzi. Ripercorriamo insieme quegli anni

Antonino Prestigiacomo
Appassionato di storia, arte e folklore di Palermo
  • 28 marzo 2024

L'Europa di fine Ottocento è stata letteralmente investita da una nuova "epidemia culturale" che ha riguardato tutti gli ambiti della vita socioculturale, scientifica, tecnologica, industriale ed artistica.

Stiamo parlando della Belle Époque, nata sostanzialmente in Francia ma immediatamente diffusasi a macchia d'olio in tutto il continente europeo a partire dal 1880 e fino allo scoppio della Prima guerra mondiale.

Nel 1895 i fratelli Lumière inventano il cinematografo, un anno dopo Guglielmo Marconi inventa il telegrafo senza fili, nel 1903 i fratelli Wright inventano l'aereo, in Italia nel 1912 si approva il suffragio universale per gli uomini, mentre in Inghilterra si registrano i primi movimenti per il voto alle donne; nel 1913 Henry Ford introduce la catena di montaggio nella sua fabbrica di automobili.

Dalla scienza alla tecnologia, dall'arte all'architettura, dai teatri ai cinema agli abiti, dai mobili alle decorazioni, dalle insegne dei locali alle locandine pubblicitarie, tutto assumeva una nuova vitalità e prendeva spunto semplicemente dalla natura.
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Il motore propulsivo della Seconda rivoluzione industriale, che aveva rassicurato la domanda dei consumatori con una vasta offerta nei mercati europei creando la cosiddetta "società di massa", dava i suoi migliori frutti a cavallo tra il XIX e il XX secolo e si condensava nella scoperta di un nuovo modo di concepire la vita: in questo clima nasce l'Art Nouveau, il Modernismo, il Floreale, o più semplicemente lo stile Liberty.

Ma, a differenza dei secoli passati, il nuovo stile non era soltanto ad uso e consumo dell'alta società. Il Liberty non si presentava affatto come il Rinascimento o il Barocco dei palazzi e dei saloni nobiliari, e che il popolo poteva ammirare al massimo nelle chiese o in rari casi di architettura pubblica (vedi ad esempio i Quattro canti di Palermo), né si presentava come il revival ottocentesco che si caratterizzò come mero sfoggio aristocratico.

Il Liberty è uno stile commerciale, nasce grazie ad un commerciante di Londra (Artur Lasenby Liberty) ed entra a far parte della vita quotidiana anche del ceto medio, del popolo, mentre la borghesia, invece, che convolerà a nozze con la nobiltà, lo eleverà a nuova frontiera artistico-industriale del futuro.

«La mescolanza, dunque, dei grandi nomi dell'aristocrazia con quelli meno altisonanti della borghesia industriosa non faceva più puzza sotto il naso».

Ne trassero giovamento, ovviamente, i borghesi più in vista del tempo, ovvero i Florio, ma non solo. L'epoca "spensierata", definita come Belle Èpoque, non si manifestò in tutta Europa allo stesso modo né nello stesso tempo, ma sicuramente in Sicilia fu avviata a partire dal 1891-92, gli anni della famosa Esposizione Nazionale di Palermo.

Cosa ci rimane di quegli anni? Su tutto l'architettura. Ernesto Basile ci ha preso per mano e ci ha traghettato nella modernità "regalandoci" edifici privati meravigliosi, ma anche alcune opere di decoro urbano, come i chioschetti liberty Ribaudo e Vicari, e opere pubbliche (anche se implicitamente elitarie) come il Teatro Massimo, Giuseppe Damiani Almeyda ci ha regalato il Tetaro Politeama, i Ducrot hanno portato i mobili di design in città, il mastro ferraio Salvatore Martorella ha realizzato innumerevoli opere in ferro battuto.

Un'immagine felice della Belle Èpoque è la passeggiata di svago nei boulevard francesi.

A Palermo il nostro boulevard più noto era la novella via della Libertà e certamente felici dovevano almeno apparire le signore dell'aristocrazia palermitana che passeggiavano in questo viale alberato.

Leggete come le immortalò un "paparazzo" dell'epoca nel 1894: «Il freddo è ritornato e col freddo han pure fatto ritorno molte graziose dame e signorine della nostra aristocrazia che da parecchio tempo avevano abbandonato la bella Palermo, andando fra i verdi campi, in mezzo alle ridenti aiuole, ed ai fiori belli e rugiadosi, a cercare l'aura fresca e mite; quell'aura che carezzando leggermente il loro delicato visino, ha infuso in esso nuova grazia e nuovo splendore.

Ne ho viste parecchie e quest'oggi al Giardino Inglese, a quell'incantevole passeggio dove superbamente sedute nei loro splendidi cocchi tirati da focosi destrieri, sembravano assai più belle ed affascinanti.

Vidi: la contessa di Mazzarino, donna Franca Florio, la duchessa Caternia d'Archirafi, la principessa di Sciara, la contessa di Toledo, la marchesa di Montallegro, la marchesa Cerda Benso: poi le signorine Ganci, Cutò di Villanova, Ballestreros, ed altre ancora che sfuggono alla memoria. Noi diamo loro il “ben ritornate”».

E le stesse signore e signorine le avremmo viste in abiti da sera nei rinomati circoli della città a sfoggiare gli ultimi gioielli appena acquistati o nei saloni nobili di qualche palazzo cittadino. E il popolo? Il popolo vuole divertirsi pure, a modo suo, e lo faceva cantando a squarciagola, bevendo e ridacchiando nei “cafés chantants” come l'Alcazar, l'Alhambra e lo Chalet delle sirene.

A Palermo non avevamo certo il Moulin Rouge di Parigi, ma ci divertivamo lo stesso. Dall'Almanacco italiano del 1899 ricavo che «A Palermo a Catania, in tutte le città della Sicilia, al teatro regnano "la canzonetta" e l'"attrazione".

Molte compagnie di prosa dialettale – Manco male! – scritturano delle "chanteuses", per “la bon bouche”!» Pare che il café chantant era esclusiva del popolo, «manco a parlarne fra l'elite a Palermo, perché posto all'indice come un'eresia che demoliva il pudore [...] i café-chantants, a Palermo erano divenuti quasi esclusivamente rifugio degli assetati uomini che venivano dalla periferia o di quanti non volevano restare tutto il giorno sotto il peso della opprimente onorabilità della famiglia».

Ma la Belle Èpoque fu anche il periodo dei grandi scandali dell'aristocrazia cittadina come quello dell'amore fedifrago tra la bellissima Giulia Tasca di Cutò Filangeri e il barone Vincenzo Paternò del Cugno finito in tragedia o quello del barone Salvatore Inglese che riuscì a separarsi dalla moglie inscenando un finto tradimento. Noti fatti di cronaca e gustosi argomenti di salotto.

Cosa ci resta oggi a Palermo di quell'epoca? Ovviamente le architetture private e pubbliche realizzate da Ernesto Basile e dai suoi allievi, tra le quali anche cinema e teatri oltre che architetture funebri, le sculture dei fratelli Civiletti, di Mario Rutelli, di Antonio Ugo, Gaetano Geraci ed Ettore Ximenes, i dipinti di Ettore De Maria Bergler, Giuseppe Cortegiani Michele Catti, Rocco Lentini, Giuseppe Enea e Salvatore Gregorietti.

E ancora i mobili design Ducrot, le opere di «qualificate imprese artigiane o industriali nel campo delle arti applicate (la ceramica Florio, il maestro ferraio Salvatore Martorella, la fabbrica di lampadari e apparecchi di illuminazione Carraffa, tutti di Palermo», le insegne dei locali di via Maqueda ancora rintracciabili, lo straordinario mosaico del panificio Morello, La Pupa del Capo, abiti e suppellettili in stile Liberty ecc.

Se si vuole, si può fantasticare con la mente ed è possibile così gustare un'intera epoca di relativo splendore che ha preceduto la barbarie della Grande guerra del 15-18.

Ma quando lo farete, vi suggerisco di porvi una domanda “Cosa lasceremo noi? Qual è il nostro stile di vita, di quale epoca faremo parte prima che scoppi un'altra grande guerra?

(Per approfondimenti confronta Palermo Fin de siècle di Pietro Nicolosi; Ducrot, mobili ed arti decorative di Ettore Sessa; Palermo Liberty di Danilo Maniscalco).
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