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Le loro scarpe dicevano "seguimi": quanto erano avanti le prostitute dell'antica Grecia

Una passione che affonda le radici nell'antichità. Dovete sapere che erano proprio loro ad avere le calzature più pittoresche che la storia abbia mai potuto rinvenire

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 6 dicembre 2021

La scuola di una scarpa di una prostituta dell'Antica Grecia con la scritta "Seguimi"

Donna la domenica pomeriggio: «Amore, oggi dovremmo andare in centro a comprare un paio di scarpe…».

Uomo nel divano che guarda le partite: brividi o vampate, calo di zuccheri, tachicardia, estraniamento o distacco dalla realtà circostante, paura di morire.

Secondo uno studio americano, condotto dalla dottoranda Jessica Boyce per il dipartimento di Psicologia dell’Università di Canterbury, vi è un legame fondamentale e tutt’altro che casuale tra l’insicurezza di una donna, la sua passione per le scarpe e la conseguente “frenesia” di comperare tutte quelle che esistono nel pianeta.

Capito? Insicurezza della donna… e noi non vogliamo che una donna di senta insicura (e dunque pericolosa), vero?!

La maggior parte degli uomini preferirebbe accompagnare Padron Frodo e la Compagnia dell’Anello tra le terre di Mordor inseguiti dai Cavalieri Neri che prendere parte a questa terribile via crucis nella quale, visti dall’esterno, malinconicamente vaganti per i negozi, potremmo essere descritti dalla musichetta di Super Quark e quella voce di sottofondo che fa:
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«L’uomo di Cro-Magnon chiede aiuto ai propri simili che versano nelle stesse condizioni. Questa empatia permette loro di formare gruppi sociali molto più ampi, di scambiare le merci e di formare alleanze nei momenti bisogno».

Brutta storia! Almeno in Sicilia questo rapporto di democratica sudditanza, con un persistente retrogusto stalinista, e che rimarca la separazione delle carriere (Uomo compra pane e butta monnezza/donna dà ordini), è improntato sulla calzatura almeno dai tempi della Magna Grecia.

Quando noi pensiamo ai greci ci vengono in mente in sandali e basta, perché questo ci siamo messi in testa e nessuno ce lo può levare: e infatti diceva Einstein “è più facile spezzare un atomo che un pregiudizio”.

Ma allora che era più scaltro dei greci l’uomo di Cro-Magnon che si faceva le scarpe usando le fibre o le pelli? No.

Semplicemente in Grecia c’era molta più scelta di quella che pensiamo e le donne erano "malate" di scarpe già allora. Pensate che c’era il calzolaio per l’uomo e il calzolaio per la donna proprio perché si parlava di due prodotti distinti e separati.

Quelli erano raffinati, mica come noi che con gli zoccoli Dr.Scholl e i sandali da mare in gomma abbiamo toccato il punto più basso della storia delle calzature!

E così la scarpa non era solo un oggetto di moda, ma un qualcosa in grado di rappresentare lo status socioculturale e si trovava di tutto: scarpe chiuse, pantofole, stivali, sandali, stivaletti. Inoltre non si curava solo l’immagine ma anche il benessere di chi le metteva ai piedi.

Per esempio, se eri troppo basso (anche se maschio) ti facevano il tacchetto alla Berlusconi di modo che nelle foto risultavi più slanciato, se invece eri una donna troppo giunonica e tuo marito superava di una Vigorsol Brunetta, il calzolaio si adoperava a fare una suola sottile in maniera tale da apparare la situazione.

Ad Atene che erano più democratici, ma anche più radical chic, consideravano le scarpe lussuose estremamente di cattivo gusto perché era più visto come un bene di prima necessità (e infatti le indossavano pure i poveri… vedi quando c’è la democrazia!).

Per questo motivo se ci fossimo trovati ad Atene con un paio di scarpe Hermes (e le scarpe di Hermes quelle vere avevano le ali) non sarebbe stato difficile sentirci dire dietro: «Mamma mia bella, guarda com’è vestito quello! Ma prima di uscire di casa si guardano allo specchio?».

Purtroppo ci sono cose che cambiano e cose che non cambiano: “munnu ha stato e munnu sarà”, si dice da noi”.

Le scarpe erano così importanti nell’antica Grecia che simboleggiavano perfino il concetto di passaggio da una vita all’altra. Non sono stati pochi i casi in cui sono stati rinvenuti dentro le tombe dei vasi a forma di piede con dei sandali (quando sarà la mia ora mettetemi due Ceres e siamo alla pace).

Arriviamo dunque dove volevamo arrivare fin dall’inizio di questo excursus molto “ex” e poco “cursus”: le bottane! No, non volevamo essere sprezzanti, ma tranquillamente la prostituzione era questione normale, legalizzata e regolata dai governi locali (Sicilia compresa).

Cioè, la cosa affascinante è che veniva incentivata la prostituzione ma venivano allo stesso tempo punite severamente le relazioni extraconiugali: in caso di cornetti il marito che scopriva di tenere ‘e corn era autorizzato ad eliminare il biricchino che stava sotto le coperte con sua moglie.

Tornando alle prostitute che, udite udite, si chiamavano “Pornai”(πόρνοι), e che esercitavano dentro i pornoboskos (πορνοβοσκός), o bordelli, dovete sapere che tenevano le scarpe più pittoresche e fighe che la storiografia abbia mai potuto rinvenire.

Trattavasi di sandali con dei chiodini applicati nella parte inferiore della suola a comporre la scritta “akoloùthei”. Era la marca direte voi.

No, “akoloùthei” significava seguimi e lo stratagemma era quello di lasciare la parola impressa nelle strade (per lo più sterrate) facendosi così trovare dai clienti che presi da un attacco di bollore improvviso, magari ubriachi, non si potevano in questo modo perdere.

Io non lo so se era cosa buona e giusta, ma da domani, quando andate a fare shopping, se vostro marito cerca strane orme per le strade, state attente perché allora ha letto questo articolo.
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