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Lo Spirito di Ballarò ha un volto e un nome: chi è l'uomo con i baffi che realizza sogni

Vi avevamo raccontato di un fantasma "amico" di un ristoratore del mercato storico. Ora il figlio lo ha riconosciuto nella descrizione dell'articolo su Balarm

Susanna La Valle
Storica, insegnante e ghostwriter
  • 1 dicembre 2022

Il "fantasma" di Ballarò

Chissà se qualcuno ricorda un articolo di alcuni anni fa, parlava di una strana vicenda legata a uno "spirito" a Ballarò e al proprietario di un piccolo chiosco. Riassumo in breve la storia che comunque trovate online su Balarm.

Rosario, ragazzone volenteroso, aveva rilevato una baracca a Ballarò, ai precedenti locatari non aveva "portato fortuna", uno dopo l’altro erano stati costretti a chiudere. Rosario di voglia di lavorare ne aveva tanta e dopo qualche timido e favorevole inizio, si era accorto che il suo street food non funzionava.

Un’amica sensitiva, venutolo a trovare, sente e vede una presenza vicino alla cella frigorifera dismessa. È un uomo maturo, asciutto, accigliato con dei baffoni neri. La presenza comunica con la sensitiva che riferisce a Rosario che dovrà smontare la cella, lasciando però un pezzetto all’esterno della baracca, uno scranno affinché lo spirito possa continuare seduto a guardare la sua Ballarò.
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Rosario smonta pezzo per pezzo lasciando quel strapuntino, e incredibilmente i clienti ritornano, sono così tanti, che Rosario si può permettere di aprire di fronte un piccolo ristorante, sistemare la famiglia, lasciando però sempre la baracca con quel pezzo di motore.

Questa la storia. Qualche giorno fa ricevo una chiamata, è Rosario, la voce è concitata . emozionata, mi dice: «Susanna sento brividi dappertutto, ti devo dire una cosa incredibile». Racconta che una persona si era presentata alla sua trattoria dicendo di aver riconosciuto suo padre nella descrizione dell’articolo.

Rosario continua «ti rendi conto, mi ha portato una foto, quello spirito ha un volto e un nome!». Irresistibile a questo punto, finire questo racconto, che come un messaggio in una bottiglia ha navigato nell’etere, fino ad arrivare alla persona giusta.

Sono strane le trame tessute dal destino. Ed è così che con Rosario, grazie a questa testimonianza ricostruiamo la storia. Mi faccio inviare la foto, lo osservo è elegantissimo, in abito da cerimonia con papillon, serio e altero, non mi è difficile immaginarlo così, seduto fuori la baracca, intento a osservare il mercato.

L’attività da Zu Nino u mugniuni, (questo il soprannome dovuto al fatto che gli mancava parte di un dito della mano) era stata aperta circa 40 anni fa con la vendita di cipolle e patate, in quella baracca, che era rimasta aperta per alcuni anni. La struttura, al tempo dello Zu Nino, non aveva serranda ed era tutto a vista.

Situazione che portava spesso i componenti della famiglia a dormire in macchina per sorvegliare la merce. A quei tempi Ballarò non era solo il mercato delle primizie più antico di Palermo, era un quartiere "pieno di cuori pulsanti, indomiti nelle avversità, e pieni da sogni da realizzare".

Come Rosario che aveva iniziato a "travagghiare" con una griglia dove cuoceva pesce o carne a 3 euro, per le massaie di Ballarò che così evitavano "di fare fumo e odori a casa". Il mercato era parte integrante della vita di questa comunità. Oggi degli abitanti di una volta, ne saranno rimasti non più del 20%, quasi tutti si sono spostati in altri quartieri. Hanno lasciato case spesso fatiscenti a disperati che avendo in visto in faccia la morte, arrivati su barconi, non temono più niente neanche un’abitazione inagibile priva dei più elementari servizi e sicurezze.

Il mio amico ristoratore mi dice che basta guardarli negli occhi per vedere una cupa rassegnazione mista a dolore. Una volta il mercato era un tutt’uno con la gente che lo abitava. Le baracche restavano aperte fino alle 10 di sera, e per qualcuno casa e bottega non era semplicemente un modo di dire, dormivano all’interno dell’attività.

Era normale scendere la sera per andare a comprare qualcosa che si era dimenticato di acquistare, dalla carne al pesce, o una cipolla, l’aglio o patate. Le baracche aperte fino a tardi erano anche l’occasione per scambiare qualche chiacchiera con il negoziante, che spesso era un amico, come Zu Nino, con cui magari andare a bere un bicchiere di vino, dopo cena, all’osteria.

La merce non era ordinata come oggi, che sembra un quadro per turisti in cerca di folklore, era un insieme di cassette di legno accatastate ricolme di merce.

Era un mercato con bambini che sin da piccoli lavoravano facendo le consegne, mentre quelli più grandicelli dopo le scuole dell’obbligo, entravano a lavorare con padre e madre. Lo sfruttamento minorile era un tema sconosciuto, dalle famiglie, che ritenevano il lavoro anche dei più piccoli, altamente dignitoso e decoroso, consideravano che la scuola non avrebbe rappresentato un cambiamento di vita e l’unica sicurezza era imparare il prima possibile un mestiere. Situazione che le Istituzioni non solo non contrastarono ma preferirono ignorare distratti da affari e potere.

Il mercato non dormiva quasi mai, le baracche rimanevano sorvegliate e la notte durava ben poco. Poco dopo l’alba il mercato si animava con l'arrivo della merce, la sistemazione delle "mostre", le "abbaniate" cantilenanti che pubblicizzavano le primizie.

Rosario, ha creato un legame profondo con questo Spirito, sperimentando la sua benevolenza, accontentandolo nel desiderio di rimanere al mercato, anche dopo la morte. Mi dice, che a stagione finita, è bastato avere tra le mani questa foto, per avere una prenotazione del tutto insperata nella sua trattoria.

Il racconto iniziato due anni fa è quindi giunto al suo epilogo. Zu Nino è sempre là, dal suo scranno continua a scrutare il mercato ma non solo, come un Nume tutelare, con la sua foto, ha trovato posto in Trattoria vicino a un San Giuseppe protettore dei lavoratori.

Da quell’altarino improvvisato, sembra guardare benevolo tutti i clienti, riservando soddisfatto un sorriso complice a Rosario.
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