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Il posteggiatore abusivo a Palermo è nato con la camicia

Mu fa pigghiari un cafè? È questa la frase di rito. A Palermo un caffè non si nega a nessuno. L’etica però ci impone di denunciare il pizzo. Ma quanti in realtà lo fanno?

  • 5 dicembre 2013

Dai su, diciamolo. A Palermo un caffè non si nega a nessuno. E non solo perché l’antica musa nera che ispirò negli anni cantautori, registi, poeti e persino intellettuali illuminati, è ad oggi simbolo manifesto dell’ospitalità e antecedente di ogni convenevole discussione. Qui i posteggiatori abusivi (categoria professionale nota da Roma in giù ndr), sono soliti evocarlo quando richiedono un compenso per i servizi offerti al cliente di turno, di solito un automobilista in cerca di un angolo dove poter parcheggiare la propria vettura. Mu fa pigghiari un cafè? La frase di rito.
Ma insomma, dicevamo: a Palermo un caffè non si nega a nessuno. Ed è così che in uno zibaldone di novelle, mitologie e cronache di tutti i giorni, l’esistenza del posteggiatore abusivo spacca l’opinione pubblica in due. C’è chi crede si tratti di disoccupati, a volte immigrati a volte autoctoni, che fanno dell’obolo il loro pane quotidiano. C’è chi, invece, ritiene sia un fenomeno attiguo alle organizzazioni criminali e che quindi, dietro a quegli spiccioli necessari per un caffè, risieda un vero e proprio “pizzo”, analogo al racket delle estorsioni imposto a numerosi commercianti.
Per essere precisi, beh sì, si tratta di estorsione. Perché pagare qualcuno per posteggiare la propria auto su suolo pubblico? Ad uno straniero, spiegheremmo che il posteggiatore è un tipo “addetto alla custodia” dei veicoli, una sorta di guardiamacchine che sorveglia l’intera zona. Non importa che le auto sostino nelle strisce blu (dove peraltro è opportuno pagare anche il ticket a tempo) o siano abbandonate davanti qualche saracinesca con affisso “lasciare libero lo scarrozzo” (in questo caso è necessario affidare le chiavi ai San Pietro delle strade), quell’euro per il caffè dovrà essere considerato come un vero e proprio investimento.
Sì, ma a parte la premessa quasi d’obbligo, il punto è un altro: a Palermo il caffè non si deve negare a nessuno. Perché può succedere che una sera qualunque, a due passi dalla Cattedrale, tra una moschea araba e corso Vittorio Emanuele, un giovane possa ritrovarsi minacciato dal “custode della strada”. Accade in via Montevergini: prima l’invito ad offrire u cafè, poi l’urlo e la minaccia «se non mi dai i soldi ti faccio rubare la macchina». L’intervento tempestivo del 113 ha così posto fine all’empasse tra i due, arrestando per direttissima il posteggiatore.
Se da un lato però è vero che molto spesso si tratta di una rete malavitosa organizzata, dall’altro - non me ne voglia nessuno -, qui c’è pititto. L’etica ci impone di denunciare il pizzo, non favorire la criminalità organizzata e non pagare quanti tentano di estorcere denaro in modo illecito. L’etica sì, ma quanti di fatto lo fanno? A supporto della giusta causa molte associazioni, come “Posteggiamo i posteggiatori” e “Palermo indignata”, si sono unite per alcune campagne di sensibilizzazione ricordando che è possibile combatterli con il gesto più semplice: non pagare.
Capita però che in un momento investito dalla crisi, quella sorta di cancro metafisico che ha siglato la fine di moltissime storiche attività (non ultima quella dell’albergo delle Palme), parte dei dipendenti di quelle storiche attività si siano ritrovati alla porta dopo anni di onorato servizio. Ed è così che in un batter d’occhio criminalità e crisi suggellano un bizzarro sposalizio. C’è chi ruba un po’ di frutta dalle cassette di legno, messe in bella vista al mercato del Capo, nascondendo in modo goffo la refurtiva dentro ad un passeggino.
E c’è chi, invece, con la dignità impressa negli occhi di chi cambia vita, compra un fischietto. Si chiama Mario Orofino ed è uno dei più noti baristi di Palermo. Almeno, lo è stato. Per oltre vent’anni ha servito gelati, spremute e cappuccini nel locale più “in”, Caflisch a Mondello. Chi non lo ricorda? Il signor Orofino, quasi sessantenne, dopo la chiusura del vecchio bar è stato licenziato e non è stato assunto dalla società che ha rilevato anche il bar Alba. Adesso si ritrova a fare il posteggiatore, racimolando anche gli spiccioli dei suoi ex clienti. «Guadagnavo circa 1.300 euro al mese, adesso trovare un lavoro sembra quasi un’utopia - racconta rammaricato».
Nell’isola anestetizzata da un quasi eterno torpore, dove lo spirito gattopardiano risuona senza tempo, c’è chi prova a reinventarsi. Lungi questo dall’essere un diniego di dignità a qualsivoglia professione, anche perché di questi tempi già chi riesce a campare è un privilegiato. Ma se la professione in questione è quella che a gran voce boicottiamo al suono di “Arruspigghiati, non pagare il pizzo!”: fa differenza se chi la svolge sia nato con la camicia? La risposta ha mille colori, ma dicevamo… A Palermo un caffè non si nega a nessuno.
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