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“La settima lettera”: il riscatto di Platone

  • 17 ottobre 2005

Scoprire le lettere di Platone è una esperienza illuminante per chi, come la maggior parte di noi, conosce del Filosofo quanto interpretato, filtrato e più o meno chiaramente trasmesso dai testi delle superiori. Leggendole si ha la sensazione di essere accolti nella casa e nell'intimità di un mito, di un mostro sacro di cui si è sempre avuta un'immagine severa, priva di istinti, debolezze, passioni, umanità, e che in questi scritti ci mostra un volto nuovo e confidenziale. Non a caso nelle lettere Platone parla in prima persona, svela moltissimo di sé e della sua personalità e in più porta esempi pratici, commenti e cronache di eventi politici e storici vissuti da protagonista, tentando a volte di mettere in pratica la sua filosofia, e altrettante volte rischiando la vita.

"La settima lettera" (:duepunti edizioni Palermo, pp 112, euro 9) forse più di tutte le altre ci permette di osservare l'uomo e i suoi sentimenti; il dolore per la tragica fine di un amico, discepolo appassionato e sincero, il disprezzo per un tiranno, che con opportunismo e per fini indegni si serve della dottrina del Maestro non prima di averla distorta, il disincanto e la rassegnazione di fronte alla pretesa di alcuni che si possa seriamente scrivere di filosofia. In questa lettera Platone racconta del suo ultimo viaggio in Sicilia, a Siracusa, dove si reca a seguito delle insistenti richieste dell'amico e discepolo Dione, stretto parente di Dioniso che è tiranno in una terra «piena di banchetti italioti e siracusani» i cui abitanti pare non pensino ad altro che a «ingozzarsi due volte al giorno e non dormire mai da soli». L'entusiasta discepolo di Platone spera che Dioniso accolga il Filosofo ateniese, ne apprezzi la filosofia e le concezioni politiche e accetti di metterle in pratica sotto forma di leggi e costituzione. Platone stesso, fortemente perplesso e riluttante di fronte alla prospettiva di un tale viaggio, decide alla fine di partire in quanto consapevole che se vuole davvero mettere mano alla realizzazione delle sue idee, quello è il momento di agire, «perché convincere un solo uomo sarebbe stato sufficiente ad ottenere ogni bene». Particolarmente significativo è il fatto che l'uomo in questione sia il siciliano più potente del momento, Platone comprende bene l'importanza strategica dell’isola nell'ambito delle dinamiche geopolitiche del mediterraneo. Il viaggio purtroppo si concluderà in un totale fallimento, Dioniso non ha alcuna intenzione di mettere in pratica le teorie di Platone ed è interessato alla filosofia solo perché crede che questa possa essere uno strumento utile ad accrescere il proprio potere. Dione verrà esiliato, privato dei suoi beni e morirà tragicamente, lo stesso Filosofo riuscirà a tornare ad Atene solo dopo molte tribolazioni.
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Oltre alla cronaca della vicenda umana, nella settima lettera sono presenti numerosi insegnamenti e spunti di riflessione: Platone chiarisce la sua idea del «processo di conoscenza», ci mette in guardia dalla tentazione di voler convincere chi non vuole ascoltare, ci pone di fronte al drammatico confronto tra teoria e pratica, con una onestà e una semplicità disarmanti: «non lasciai la mia patria» – ammette spiegando le motivazioni che lo spingono a partire per la Sicilia – «per le ragioni che credevano alcuni, ma perché mi vergognavo molto profondamente dell'opinione che avevo di me stesso, di essere in fin dei conti uno capace soltanto di discorsi e non di fatti». Infine, di grande rilevanza è quanto Platone dichiara riguardo ai suoi stessi scritti: «Nessun uomo serio scriverebbe di cose che considera sommamente serie, per non gettarle in balia dell'odio e dell'incomprensione degli uomini». Il Maestro ateniese è convinto della debolezza del linguaggio e afferma chiaramente che non esiste né mai esisterà uno scritto in cui lui disserti seriamente della sua filosofia. Alla luce di ciò, le affermazioni di alcuni teorici del nazismo che pretendevano di riscontrare negli scritti di Platone ora modelli di purezza della razza, ora relazioni tra il teorico governo dei filosofi dell'Ateniese e le dittature nazifasciste, appaiono definitivamente per quello che sono, il pericolosissimo risultato di quanto temeva Platone: «l'odio e l'incomprensione degli uomini».

In questa raffinatissima edizione accanto al testo in greco - un vero piacere per i pochi capaci di apprezzarlo - Andrea Carbone propone una traduzione, abbastanza fedele al testo originale da conservarne lo stile e il sapore ma anche molto intelligentemente libera, per rendere al meglio il senso degli insegnamenti del Maestro ateniese. Una pubblicazione preziosa, per di più facilmente accessibile visto il prezzo contenuto, perfetta per lo zainetto di un liceale che volesse prendere confidenza col Filosofo ateniese magari sorprendendo qualche insegnante, ma la lettura della settima lettera è consigliabile, per la sua estrema attualità, a chiunque voglia riflettere e misurarsi sui complessi rapporti tra politica e cultura e sui rischi e le difficoltà nei processi di comunicazione in questi delicati ambiti. Oggi - nell'era dei governi mediatici - dopo la lettura della settima lettera è inevitabile chiedersi almeno due cose: se vi sia qualcuno, tra i membri della attuale nomenklatura, nella cui coscienza alberghi almeno il germe del dubbio su ciò di cui Platone era certo riguardo allo scrivere di filosofia, e se inoltre vi sia qualcun'altro capace di condividere il dramma interiore del Filosofo di fronte allo stridente contrasto tra teoria e pratica.
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