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Sicilia da primato: il delitto delle opere incompiute

Sono 156 le opere incompiute in Sicilia. Pubblicati sulla rivista "ASud'Europa" i dati degli sprechi. Fabrizio Micari: "Necessario invertire trend siciliano"

  • 19 febbraio 2013

Proprio la Sicilia è la regione capofila delle opere incompiute. Touché. Ognuna di esse si trova in una cornice desolante, dove si respira chiaramente un'aria gelida che sa di occasione perduta. Numeri in calo per il finanziamento di opere pubbliche. Contrazione degli investimenti in infrastrutture sul territorio siciliano. Meno di un milione di euro al mese viene ripartito in tutta la Sicilia per realizzare quelle strutture di cui ha bisogno la nostra isola.

Si va da dal raddoppio della linea ferroviaria Palermo Lolli-Santa Ninfa ai padiglioni Polichirurgici di via Ingegneros, dalla Chiesa Madre di Gibellina (foto in home) al viadotto di Burgio, passando per il campo sportivo di Catania e, ultima ma non per importanza, la faraonica opera del ponte sullo Stretto di Messina (QUI è possibile visitare la lista completa). «È una circostanza delittuosa per la nostra terra. Nel breve termine bisogna pensare ai posti di lavoro persi, mentre guardando al futuro ciò determinerà un ritardo nello sviluppo della Sicilia». Fabrizio Micari, preside della Facoltà di Ingegneria dell'Università degli studi di Palermo, apostrofa così la questione delle opere incompiute nel Mezzogiorno.

Sono dati preoccupanti quelli apparsi sull'inchiesta realizzata dal Centro studi Pio La Torre attraverso la rivista "ASud'Europa". Nel 2012, stando ai dati raccolti dall'Osservatorio regionale dei Lavori Pubblici, gli enti territoriali locali sono riusciti a portare in gara appena 610 opere. Si parla dunque di una media di 1,67 gare d'appalto bandite al giorno (per 390 comuni, 9 province e la Regione). Per la realizzazione di tali opere viene messo a disposizione meno di un milione di euro al mese per tutta l'isola: «Trattandosi di opere pubbliche, è una cifra a dir poco irrisoria - continua l'ingegnere Micari - Abbiamo un sistema infrastrutturale che risale al secolo scorso. Basti pensare che l'alta velocità si ferma a Salerno. Tempo fa si parlava dell'asse Berlino-Palermo, che ci avrebbe permesso di sviluppare significativamente trasporti, scambi, la mobilità delle persone e altro ancora, ma l'idea sembra ad oggi tramontata».

Mentre a livello nazionale si strizza sempre più spesso l'occhio all'Europa, la Sicilia è costretta ad abbassare il tiro e confrontarsi con il nord Italia. «È necessario favorire quanto più possibile i canali che possano arricchire il sud, trovare nuovi assi di sviluppo. Per fare questo è necessaria una sorta di rivoluzione culturale. Investimenti privati? L'unico canale disponibile al momento pare l'Europa, ma bisogna cambiare mentalità e adattare le procedure alle necessità, capire come spendere i soldi con intelligenza e invertire il trend siciliano tradizionalmente negativo. In tal senso sarebbe auspicabile attribuire un ruolo al nostro ateneo ed i suoi studenti. Fortunatamente i nostri ragazzi riescono a trovare lavoro relativamente in poco tempo, specie se disposti a valicare i propri confini territoriali. Un'economia regionale che vuole ripartire, può e deve essere supportata dall'Università, così da creare occupazione e dare sfogo ai cervelli nostrani».

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