Non solo il Satiro e l'Efebo: in Sicilia l'unico relitto esistente del III secolo dopo Cristo
Per i fan dell'archeologia: con tanto di video che la riproduce (virtualmente) scopriamo la storia di una nave affondata diciassette secoli fa e custodita oggi a Marsala
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Solcava le acque del Mediterraneo nel III secolo d.C. e trasportava beni alimentari custoditi all'interno di anfore africane: una imbarcazione commerciale simbolo della potenza economica dell'impero romano affondata probabilmente per un errore di manovra all'ingresso del fiume Birgi tra Marsala e Trapani.
Nota come "la nave di Marausa" (dal nome della località siciliana) la barca è rimasta sott'acqua per diciassette secoli, nascosta sotto uno strato fangoso e di posidonia fino al 1999 quando due subacquei, Tony Di Bono e Dario D’Amico, l'hanno ritrovata.
«Quando mi chiamarono per segnalarmi qualcosa di strano in quel tratto di mare a cento metri dalla costa – raccontava il compianto assessore ai Beni Culturali, l'archeologo Sebastiano Tusa – mai avrei pensato di poter ritrovare una nave romana. Invece è forse il relitto meglio conservato fra quelli ritrovati in tutto il Mediterraneo».
L’imbarcazione era larga circa 8 metri e lunga 16 e aveva tutte le caratteristiche tipiche della costruzione "a guscio portante": nelle anfore africane, chiuse da tappi di sughero, trasportava frutta secca (pinoli, nocciole, mandorle, pesche, fichi secchi), olive e con ogni probabilità vino e garum (salsa di pesce), come testimonierebbe la presenza di un tipo di resina all’interno dei contenitori.
Oggi questa meraviglia del mare è esposta al Museo archeologico Lilibeo di Marsala (Lungomare Boeo, 30), in una sezione inaugurata ad aprile del 2019 dal presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci.
La nuova sala è comprensiva di un ricco apparato multimediale, un sistema di realtà aumentata e pannelli didattici e illustrativi che completano l'’allestimento dell’esposizione, che nel suo insieme propone una fedele ricostruzione del relitto e presenta la parte destra dello scafo in assetto di navigazione, mentre quella sinistra così come è stata ritrovata sott’acqua.
L’operazione di recupero è durata anni, è stata completata infatti nel 2011, e sul relitto è stato operato un test unico nel suo genere.
Parte del fasciame in legno riportato alla luce è stata sottoposta a interventi sperimentali che ne garantiscono la conservazione e durabilità nel tempo protette dal calore, dall’umidità e da eventuali attacchi da parte di insetti.
Un procedimento spiegato dall’assessore Tusa: «Per la prima volta – ha detto – le nanotecnologie verranno applicate per l’ottimizzazione e la conservazione di un relitto in esposizione museale recuperato in fondali marini e depurato da tutti i depositi che la permanenza in acqua salmastra ha apportato alle assi di legno che compongono l’intera struttura navale».
Nota come "la nave di Marausa" (dal nome della località siciliana) la barca è rimasta sott'acqua per diciassette secoli, nascosta sotto uno strato fangoso e di posidonia fino al 1999 quando due subacquei, Tony Di Bono e Dario D’Amico, l'hanno ritrovata.
«Quando mi chiamarono per segnalarmi qualcosa di strano in quel tratto di mare a cento metri dalla costa – raccontava il compianto assessore ai Beni Culturali, l'archeologo Sebastiano Tusa – mai avrei pensato di poter ritrovare una nave romana. Invece è forse il relitto meglio conservato fra quelli ritrovati in tutto il Mediterraneo».
L’imbarcazione era larga circa 8 metri e lunga 16 e aveva tutte le caratteristiche tipiche della costruzione "a guscio portante": nelle anfore africane, chiuse da tappi di sughero, trasportava frutta secca (pinoli, nocciole, mandorle, pesche, fichi secchi), olive e con ogni probabilità vino e garum (salsa di pesce), come testimonierebbe la presenza di un tipo di resina all’interno dei contenitori.
Oggi questa meraviglia del mare è esposta al Museo archeologico Lilibeo di Marsala (Lungomare Boeo, 30), in una sezione inaugurata ad aprile del 2019 dal presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci.
La nuova sala è comprensiva di un ricco apparato multimediale, un sistema di realtà aumentata e pannelli didattici e illustrativi che completano l'’allestimento dell’esposizione, che nel suo insieme propone una fedele ricostruzione del relitto e presenta la parte destra dello scafo in assetto di navigazione, mentre quella sinistra così come è stata ritrovata sott’acqua.
L’operazione di recupero è durata anni, è stata completata infatti nel 2011, e sul relitto è stato operato un test unico nel suo genere.
Parte del fasciame in legno riportato alla luce è stata sottoposta a interventi sperimentali che ne garantiscono la conservazione e durabilità nel tempo protette dal calore, dall’umidità e da eventuali attacchi da parte di insetti.
Un procedimento spiegato dall’assessore Tusa: «Per la prima volta – ha detto – le nanotecnologie verranno applicate per l’ottimizzazione e la conservazione di un relitto in esposizione museale recuperato in fondali marini e depurato da tutti i depositi che la permanenza in acqua salmastra ha apportato alle assi di legno che compongono l’intera struttura navale».
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