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Non solo il Satiro e l'Efebo: in Sicilia l'unico relitto esistente del III secolo dopo Cristo

Per i fan dell'archeologia: con tanto di video che la riproduce (virtualmente) scopriamo la storia di una nave affondata diciassette secoli fa e custodita oggi a Marsala

Balarm
La redazione
  • 7 giugno 2019

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Solcava le acque del Mediterraneo nel III secolo d.C. e trasportava beni alimentari custoditi all'interno di anfore africane: una imbarcazione commerciale simbolo della potenza economica dell'impero romano affondata probabilmente per un errore di manovra all'ingresso del fiume Birgi tra Marsala e Trapani.

Nota come "la nave di Marausa" (dal nome della località siciliana) la barca è rimasta sott'acqua per diciassette secoli, nascosta sotto uno strato fangoso e di posidonia fino al 1999 quando due subacquei, Tony Di Bono e Dario D’Amico, l'hanno ritrovata.

«Quando mi chiamarono per segnalarmi qualcosa di strano in quel tratto di mare a cento metri dalla costa – raccontava il compianto assessore ai Beni Culturali, l'archeologo Sebastiano Tusa – mai avrei pensato di poter ritrovare una nave romana. Invece è forse il relitto meglio conservato fra quelli ritrovati in tutto il Mediterraneo».

L’imbarcazione era larga circa 8 metri e lunga 16 e aveva tutte le caratteristiche tipiche della costruzione "a guscio portante": nelle anfore africane, chiuse da tappi di sughero, trasportava frutta secca (pinoli, nocciole, mandorle, pesche, fichi secchi), olive e con ogni probabilità vino e garum (salsa di pesce), come testimonierebbe la presenza di un tipo di resina all’interno dei contenitori.
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Oggi questa meraviglia del mare è esposta al Museo archeologico Lilibeo di Marsala (Lungomare Boeo, 30), in una sezione inaugurata ad aprile del 2019 dal presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci.

La nuova sala è comprensiva di un ricco apparato multimediale, un sistema di realtà aumentata e pannelli didattici e illustrativi che completano l'’allestimento dell’esposizione, che nel suo insieme propone una fedele ricostruzione del relitto e presenta la parte destra dello scafo in assetto di navigazione, mentre quella sinistra così come è stata ritrovata sott’acqua.

L’operazione di recupero è durata anni, è stata completata infatti nel 2011, e sul relitto è stato operato un test unico nel suo genere.

Parte del fasciame in legno riportato alla luce è stata sottoposta a interventi sperimentali che ne garantiscono la conservazione e durabilità nel tempo protette dal calore, dall’umidità e da eventuali attacchi da parte di insetti.

Un procedimento spiegato dall’assessore Tusa: «Per la prima volta – ha detto – le nanotecnologie verranno applicate per l’ottimizzazione e la conservazione di un relitto in esposizione museale recuperato in fondali marini e depurato da tutti i depositi che la permanenza in acqua salmastra ha apportato alle assi di legno che compongono l’intera struttura navale».
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