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Palermo ai tempi della peste: un ospedale porta il nome del medico che salvò la città

L'epidemia di diffuse nel 1575, dopo che il corpo di un mercante e della sua amante furono trovati morti. Un ospedale è ancora oggi intitolato al medico che la curò

  • 3 marzo 2020

Un particolare del dipinto “Santa Rosalia scende dal cielo tra gli appestati” di Pietro Novelli

Una delle pagine del Diario di Paruta e Palmerino, narra che la mattina del 9 Giugno 1575, nel quartiere di San Domenico, furono trovati …"l’innamorato di detta donna e tutti di casa di una febbre con certi vozzi all’ancinagli (inguine), l’uno imbiscandola all’altro".
L’uomo era un mercante di tappeti, un capitano di un brigantino proveniente dalla Barbaria, che aveva avuto con lei rapporti sessuali. Li avevano trovati morti. Una terribile epidemia era scoppiata a Palermo.

Da quel giorno la peste dilagò e ben presto infestò tutta la Sicilia, specialmente le città che si affacciavano sul mare, perché più facilmente raggiungibili dalle navi. Soltanto due Porte cittadine rimasero aperte ma nonostante questa precauzione i contagi aumentavano. In tutte le case c’era gente che moriva.

All’inizio, i malati infetti furono barricati dentro le case, vennero chiusi il convento di San Francesco e quello di San Domenico perchè i frati si infettarono l’uno con l’altro. La città era un inferno, roghi dappertutto, l’aria era ammorbata da un odore nauseante. Per ordine dei medici, roba, letti, materassi della gente appestata dovevano essere bruciati.
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Anche la delinquenza trasmise questo morbo, infatti, molti ladri approfittando della carenza delle forze dell’ordine, impegnate ad arginare questo triste evento, si dettero al saccheggio delle abitazioni disabitate, contraendo e trasmettendo questo morbo. Furono sorpresi molti ladri e gravissime pene vennero loro date, qualcuno venne bruciato, altri impiccati, altri ancora mandati a sfracellarsi precipitandoli dall’alto dello Steri.

Il Senato palermitano interpellò il Protomedico Gian Filippo Ingrassia che insieme ad una equipe di colleghi studiò il rimedio per bloccare il terribile morbo. Egli, ordinò l’isolamento degli ammalati, fece costruire i lazzaretti della Cuba e del Borgo di Santa Lucia, dove fecero applicare la quarantena; deliberò l’incendio di tutti i beni che appartenevano ai contagiati, proibì gli scambi commerciali con l’esterno, il raduno di folle nelle strade e piazze, vietò persino le processioni, obbligò la sepoltura dei morti al di fuori delle mura cittadine ma soprattutto diffuse alcune regole igieniche, condannando anche con la morte i trasgressori.

Non fu facile fare applicare questi provvedimenti.

Gli ammalati non si dichiaravano per non lasciar bruciare il loro arredamento, qualcuno insinuò che i medici non volevano trovare la medicina per questa epidemia perché altrimenti sarebbe venuto meno la loro parcella. Per questo motivo il dottor Ingrassia, sdegnato, rinunciò al proprio stipendio, continuando a dare generosamente cura e soccorso agli ammalati.

Scrisse un libro che intitolò “Informatione del Pestifero et Contagioso Morbo” che conteneva le sue riflessioni su questa esperienza.
Dopo 11 mesi di lotta, nella primavera del 1576, la peste fu debellata del tutto. Soltanto a Palermo morirono circa 3100 persone.
Oggi, la città di Palermo lo ricorda nel nome di uno dei suoi ospedali: “Ospedale G.F. Ingrassia”.
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