STORIA E TRADIZIONI

HomeNewsCulturaStoria e tradizioni

Perché a settembre si fa "l'acchianata": la (vera) devozione di Palermo per la Santuzza

Il 4 settembre i palermitani affrontano "Munti Piddirinu" ripetendo ogni anno quella che ormai è diventata una tradizione famosissima. Ecco le sue origini

Antonino Prestigiacomo
Appassionato di storia, arte e folklore di Palermo
  • 4 settembre 2022

La statua della Santuzza nel santuario di Monte Pellegrino

L'acchianata a Munti Piddirinu è una famosissima tradizione palermitana. Ha origine in virtù del "miracoloso" ritrovamento delle sante ossa di Rosalia Sinibaldi, cavate il 15 luglio 1624 all'interno di una grotta naturale del Monte Pellegrino.

Le sante reliquie, portate in processione la prima volta il 9 giugno 1625 per la via Vittorio Emanuele, che allora si chiamava via Toledo, compiendo diversi miracoli che furono successivamente registrati secondo un procedimento specifico e sotto giuramento, decretarono, di lì a poco, la fine delle sofferenze per la città di Palermo, dovute all'imperversare di una tremenda pestilenza.

Perciò, Santa Rosalia divenne patrona indiscussa della città, declassando le quattro sante patrone precedenti: Agata, Oliva, Cristina e Ninfa. Da allora, i devoti, ogni anno, a partire dal 4 settembre, considerato il dies natalis della santa e inserito nel Martyrologium Romanum nel 1630, fanno "il viaggio" a Santa Rosalia.
Adv
Sono ormai quasi quattrocento anni che ci si reca in pellegrinaggio nella grotta a venerare e ringraziare Rosalia, ma, come ogni enigma fideistico, anche la veridicità sull'invenzione, cioè la scoperta delle ossa di Rosalia fu messa in discussione.

L'Ottocento fu il periodo del Positivismo, una corrente di pensiero che anteponeva i dati empirici a quelli astratti, e quindi la scienza su tutto il resto, specie sulla religione.

Perciò, in un simile contesto, anche nella felice città di Palermo non mancavano gli animi scettici che, legati certamente di più alla ricerca della verità che al semplice screditamento di un dogma, mettevano in forte dubbio che le ossa di Santa Rosalia appartenessero davvero alla vergine martire, arrivando ad asserire addirittura che in mezzo alle ossa ritrovate nella grotta vi fossero anche resti di animali, in particolare di "ippopotamo".

Questa posizione fu apertamente argomentata in un articolo di un giornale noto di allora che si chiamava Il Precursore di Palermo, creato nel 1860, sotto la guida di Francesco Crispi. Il detto giornale fu poi censurato anzi «proibito con decreto di Monsignor Arcivescovo Don Michelangelo Celesia, in data del 4 gennaio 1873».

A dire il vero, già nel 1824 William Buckland, geologo e paleontologo inglese, quando venne a Palermo, visitò il santuario di Monte Pellegrino e vedendo i resti ossei di Rosalia vi scorse quelli di una capra.

Quando furono ritrovate le ossa di Rosalia nella grotta del Monte Pellegrino calcificate nella roccia furono esaminate da una equipe, convocata dall'arcivescovo Giannettino Doria, di dottori, scienziati, letterati, storici, che «fecero un lungo ed accurato esame ed una descrizione dettagliata di tutte le ossa, queste furono riconosciute, pel sito, ove si rinvennero, per la forma [...] e ciò fu il 22 febbraio 1625, dopo duecentotre giorni dal rinvenimento e varie verifiche e contestazioni».

Sì, è noto, non è mai stato fatto un esame scientificamente moderno delle ossa di Rosalia. A riconoscere le ossa e ad attribuirle o meno alla "Santuzza" furono uomini che, secondo la propria competenza ed esperienza, poterono semplicemente “vedere” i resti, senza mai fare alcun esame specifico.

Ciò vale, però, sia per coloro che si professarono a favore, sia per coloro che si professarono contro l'attribuzione delle ossa a Santa Rosalia.

Gli amanti del complotto penseranno "Beh, probabilmente, coloro che si professarono a favore si saranno messi d'accordo a suo tempo, garantendosi una nuova santa patrona e un nuovo assetto politico-religioso in città guidato dall'ordine dei Gesuiti, visto che loro si intestarono il successivo culto di Rosalia!”.

Può darsi, ma sullo stesso piano ideologico non va neanche trascurato il fatto che il sopracitato William Buckland, oltre ad essere un geologo ed un paleontologo, ovvero uno scienziato, era un teologo e pastore della chiesa anglicana, poteva, cioè, essersi lasciato influenzare dalla sua stessa dottrina nel professarsi contro l'attribuzione delle ossa a Santa Rosalia.

Oltre alle ossa è stata messa in discussione, negli ultimi anni in particolare, anche la scritta latina incisa sulla roccia e attribuita a Rosalia, ritrovata dentro una grotta a Santo Stefano di Quisquina poco tempo dopo il rinvenimento delle reliquie nel Monte Pellegrino.

Anche in questo caso si pensa al complotto legato all'ordine dei gesuiti, i quali, secondo Giancarlo Santi, con quest'altro ritrovamento avrebbero voluto accrescere le testimonianze legate alla santa.

In sostanza, a conti fatti, non esistendo un esame accurato delle ossa di Rosalia, i dubbi tra la gente albergheranno sempre, tranne che nei devoti che qualcuno sarcasticamente e senza rispetto addita come creduloni.

Ora, non so quanto possa valere, e se da ciò potrete trarne la mia posizione, ma durante un pellegrinaggio sono stato testimone di una riconoscenza da parte di una devota a Santa Rosalia, la cosa mi toccò dentro, così decisi di scrivere una poesia, quando ancora credevo di saperlo fare.

Pi grazia ricivuta

Acchiana pi la strata
'na ciurma ri divoti a notti e dia,
acchiana ritta la malincunia.
D'argentu brilla la grazia, è grata
la signura o' latu a mia.

Un passu duna e navutru d'appressu,
è stanca e pisanti la cristiana:
un s'arreggi cchiù, s'assetta nta 'na chiana.
La luna la talia, un ficurigna è riversu,
ma l'arma ci rici “Acchiana! Acchiana!”

A pizzu misa sta la Santuzza
e dintra la rutta scura e astrusa,
curcata e d'ogni banna adurata, la piatusa,
ricivi riali e prieri rintra la so casuzza
di petra, e cuntracancia, com'è amurusa.

La cristiana c'avia o' latu
si misi a priari e lassò 'na curuna
di Nostra Signura a lu coddu di la Patruna,
zitta zitta nto n'agnuni e senza ciatu
ringraziava Rusulia ca li liuni ci avia livatu.
Se ti è piaciuto questo articolo, continua a seguirci...
Iscriviti alla newsletter
Cliccando su "Iscriviti" confermo di aver preso visione dell'informativa sul trattamento dei dati.
...e condividi questo articolo sui tuoi social:

GLI ARTICOLI PIÙ LETTI