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Qui vivi un'eterna vacanza: la città in Sicilia che ti avvolge, dalla Casbah al lungomare

I muri parlano di storia e accoglienza. Un luogo che cattura sensi ed emozioni con sublimi pietanze, tra cozze affogate in un oceano di sugo e la pasta con le alghe

Susanna La Valle
Storica, insegnante e ghostwriter
  • 16 settembre 2023

Il porticciolo e il lungomare di Mazara del Vallo (foto di Igor Petyx per "Le Vie dei Tesori")

Mi è stato detto che qui è come vivere in un’eterna vacanza, con quell’orizzonte blu da dove arrivarono invasioni e doni, un mondo altro che, se vissuto come hanno saputo fare i mazaresi, diventa opportunità e orgoglio.

Mazara del Vallo cattura sensi ed emozioni, dalla Putia densa di profumi e colori, piena di sacchi di couscous, barattoli di sughi, preparati, alici, fave, finocchietto selvatico e qualunque tipo di spezia e aroma. Doni da portare a casa, lontano, per reagire all’uniformità e appiattimento di gusti e sapori. Da lì basta attraversare la strada e sei nella Casbah, dove bisogna perdersi.

Seguire un percorso vuol dire limitare spazio tempo, bellezza. Senza meta entro in ogni vicolo, solo così potrò vedere la straordinarietà di questo luogo, reso ancora più unico dal grande lavoro di chi l’ha reso un museo a cielo aperto. Maioliche, indicazioni puntuali e precise, i messaggi.

I muri parlano, di storia e accoglienza. I vicoli della Casbah di Mazara insegnano e abbracciano, l’arabo diventa siciliano quando chiedo informazioni, accompagnato sempre da sorrisi , qui vive una delle più grandi comunità Magrebine. Ed è camminando che incontri i cortili, spazi aperti e condivisi com’è di costume nei paesi di là dal mare, con panni stesi, bambini che giocano, reti da pesca e porte aperte.
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Girovagando trovo una porta tutta blu, piena di arabeschi, se il proprietario è in casa, non avrà problemi a farvi entrare, per mostrare la sua piccola reggia. In un altro vicolo c’è un bar, dove a un tavolo alcuni “mazaresi” giocano a carte, mentre altri fumano rilassati, narghilè poggiati a terra, si lasciano avvolgere da spirali aromatizzate di fumo; una televisione trasmette musica magrebina con sottotitoli in arabo, rimango ferma a osservarli mentre da una finestra arriva profumo di pesce. Il cuscus è ovunque, nelle trattorie, piccole bettole, importanti ristoranti.

Le mani hanno un ruolo importante, il cous cous deve essere "incocciato", facendolo girare sul palmo con movimenti circolari, sempre nella stessa direzione, solo quando la mano non si sporcherà più, sarà pronto per essere messo nella mafaradda il piatto concavo di ceramica, substrato a un’opulenta zuppa di mare, oppure di verdure, diventando Tabulè.

Qui non c’è cibo ma sublimi pietanze, le monumentali cozze affogate in un oceano di sugo, la pasta con le alghe, o anche i panini di pesce, e ancora pesce... Nutrimento per l’anima sono le bellissime chiese di Mazara, alcune purtroppo chiuse come la Chiesa di San Calcedonio, sui cui gradini ci sono dei cuscini. Chiedo al ristorante vicino se mi posso sedere. «Ma qui siamo in Sicilia!»... Ovvio!

Tra musica e fiori, nell’attesa di un piccolo lussurioso aperitivo, mi raccontano con la morbida parlata mazarese che qui c’era il Fondaco dei Pisani al tempo delle Repubbliche Marinare. Sempre percorrendo senza meta arrivo alla chiesa di San Francesco con affreschi, statue in stucco, un apparato plastico con schiere di putti "oranti e osannanti", un trionfo di fastosità e ricchezza barocca.

La custode Carmela pulisce e controlla, mi accoglie come se fosse casa sua, mi siede vicino, mi parla di diavoli e peccatori, di come qui affanni e problemi si placano, la bellezza cura, la fede dà speranza.

La Casbah di Mazara sembra labirintica, ma in realtà è un circolo, attraverso Vicolo della Tolleranza, dove si trovava la Giudecca con la piazzetta del Bagno, entro al Vicolo del bandito Mazarese, Santaliviti vicino a “Bal al Balarm” (Porta Palermo), poi Vicolo Sferracavallo dove si ferravano gli animali, Vanedda dove erano esposti le corna degli animali macellati, il Vicolo del Turco con un pannello con l’invasione Ottomana di Bisanzio, quindi Largo Madia con dei grandi Vasi al centro…

Due ragazzi magrebini, mi danno indicazione per una piazza straordinaria, la sontuosa Piazza della Repubblica: un salotto barocco, dove tutto conferisce nobiltà e raffinatezza, dalla pavimentazione, agli edifici, al loggiato.

Qualche gradino e poco più in basso c’è Villa Jolanda, dove una volta sorgeva il castello di Ruggero D’Altavilla con i suoi Ficus che sembrano mangrovie, poi Piazza Mokarta dal nome dell’antica porta che conduceva fuori dalla città; qui c’è l’Arco del Re Normanno che fondò a Mazara un importante Vescovado, fece costruire la Cattedrale e riunì nel 1097 il primo Parlamento Siciliano.

Il lungomare corre a perdita d’occhio affacciandosi sul Canale di Sicilia, tra panchine, dove riposare ascoltando la risacca, immaginando i marinai mazaresi nel loro tipico abbigliamento con l’immancabile "birritta" dove nascondevano il denaro.

Il Satiro danzante è vicino, "pesca miracolosa" dei mazaresi, lui per sempre giovane continua la sua danza per tutti i visitatori. Di fronte al Museo, il collegio dei Gesuiti, dove un artista, Ignazio Auguanno, ha in mostra Mazara in miniatura. Poi c’è Mazar, il fiume, come lo chiamarono i cartaginesi il cui significato è limite e frontiera.

Il Mazaro è anche Molo un tempo era così pieno di pescherecci che si attraversava "saltando da un’imbarcazione all’altra". L’Abbanniata porta al Mercato Ittico con i suoi tesori, dove troneggia il Gambero Rosso; una volta l’apertura era annunciata da una sirena che avvisava anche dell’arrivo del Marrobbio, onde anomale dovute alla pressione atmosferica che lasciavano sulle banchine, pesci boccheggianti; il fiume era ritenuto dagli arabi abitato da spiriti per questo fenomeno.

Arriva il tramonto, rientrare nei vicoli è un piacere, fa caldo, un uomo mi fa cenno con la mano, «venga qua si sieda, vedo che è stanca questo è il Vicolo del Vento, qui soffia sempre». Grata, mi guardo intorno a breve arriverà il richiamo dagli altoparlanti, invitando alla preghiera "Allāhu Akbar".

È vero, una brezza fresca mi avvolge, su un pannello leggo. «È il Dio Eolo che vigila su questo spazio, figlio della magia, della libertà e dell’ambizione».
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