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Riti scaramantici per Capodanno (anche) in Sicilia: occhio al primo che vedi per strada

Abbiamo passato anni a regalare mutande rosse per Capodanno, abbiamo mangiato lenticchie, contandole. Della serie: la scaramanzia non è mai troppa

Susanna La Valle
Storica, insegnante e ghostwriter
  • 27 dicembre 2022

L'attore Antonio De Curtis, in arte Totò

"Non è vero ma ci credo".

Abbiamo passato anni a regalare mutande rosse da indossare a Capodanno, il cui significato era legato al colore da sempre considerato scaccia guai, ma anche per quel lato b, allegoria d'improvvisa e grande fortuna.

Abbiamo mangiato lenticchie, magari contandole, sperando che queste si trasformassero in soldini tintinnanti; abbiamo riempito le tasche con qualche banconota, perché l’ultimo dell’anno non ci trovasse squattrinati. Oppure ci siamo affacciati la mattina del primo alla ricerca di auspici, la vista di un uomo o di un gobbo, annunciava un anno favorevole.

La mia tata siciliana ne aveva fatto una variante: se la prima persona vista per strada era un uomo era tutto posto, ma se era una donna, sentenziava: "Fimmina… annu lariu". Da questo funesto presagio scattavano poi immediate contromisure.

Altro rito di fine anno, accendere fuochi girandole, mortaretti, alcuni pericolosissimi e illegali. L’origine di questa tradizione è cinese lo scoppio, il rumore allontanava gli spiriti cattivi. Ma non solo botti e girandole, c’era chi imbracciava un fucile e sparava dalla finestra.
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Vi era poi la deprecabile abitudine specie nei quartieri più popolari, e non solo in Sicilia, di buttare tutte le cose vecchie. Un rito non solo di rinnovamento per dare modo di fare spazio al nuovo, ma anche per caricare di tutte le negatività oggetti e mobili fracassandoli e facendoli volare, fuori di casa come un rito liberatorio.

La scaramanzia si riteneva appannaggio esclusivo delle classi povere, ma non era così e soprattutto non era a esclusivo e preciso periodo dell’anno. Il "Breve" ad esempio era un talismano buono per ogni occasione. L’Accademia della Crusca lo definisce "piccola scrittura cucita in un sacchetto da portare al collo per devozione" di solito riportava numeri o simboli.

Uno di questi fu trovato in un foro delle prigioni a Palermo, con figure e sette righe di numeri da 1 a 10. Ma I Brevi o Benedicaria com’erano chiamati dal popolo erano anche dei sacchettini contenenti oggetti religiosi o magici. Le suore di clausura ne realizzavano di raffinati in fiandra, commissionati da famiglie facoltose.

Gli aristocratici amavano portare al collo una scheggia di osso, o un dente, come nel caso di S. Bernardo da Corleone, cui fu asportato subito dopo la morte per donarlo a un nobile. Altri avevano resti dei ceri pasquali, foglie d’ulivo o piccole immagini.

Questi oggetti potevano essere leciti, tollerati dalla Chiesa, o illeciti, in questo caso spaziavano nel mondo della
magia sia bianca che nera. Vi erano figure antropomorfe, frasi, numeri o strane polverine.

Tenuti ben nascosti, specie durante l’Inquisizione, dove il solo possesso poteva portare a processo. Si ricorda una Benedicaria trovata indosso a un dottore, Orazio di Adamo, che per questo fu arrestato e condannato per stregoneria.

I Talismani appartengono a tradizioni antiche, i romani, particolarmente superstiziosi realizzavano collane che contenevano parole magiche e involucri con amuleto vere e proprie orazioni e a volte maledizioni.

Altro Talismano famoso la Gorgone Medusa dal cui sangue sgorgato dopo il taglio della testa, da parte di Perseo, si dice si originò il corallo. Se Medusa poteva pietrificare con lo sguardo, il suo sangue, elemento così particolare in "equilibro tra regno vegetale animale e minerale" poteva bloccare il male e per questo fu ampiamente usato sui frontoni dei templi come scaccia guai.

Considerato fonte di energia e bellezza Il “curnicello”, aveva la funzione antimalocchio. Il Medico Avicenna diceva che rallegrava il cuore facendo sparire l’angoscia, Paracelso affermava, che se manipolato da un esperto, era la migliore medicina del mondo.

Un altro oggetto spesso realizzato in corallo, non solo rosso, era la Manufica, una manina che chiusa a pugno tiene il pollice tra indice e medio, anche questa aveva poteri apotropaici, proteggeva dalla mala sorte.

In mancanza di talismani, venivano messi in atto alcuni stratagemmi come nei Vicerè di De Roberto. Il principe Giacomo convinto che il figlio Consalvo portasse male, evitava di pronunciare il suo nome, apostrofandolo con "saluta a chi sai chi" tenendo opportunamente la mano sinistra nella tasca della giacca, con le dita ben spianate nelle immancabili corna rivolte verso il basso.

Che la scaramanzia non fosse esclusivo appannaggio delle classi subalterne, era palese dalle numerose visite che ricevevano maghe e fattucchiere di Palermo da parte di ricchi borghesi e aristocratici, specie alla fine dell’anno quando si chiedevano responsi su mesi favorevoli e su quelli funesti.

Di amuleti non fu immune neanche la storia dell’arte ricordiamo un quadro tra tanti, la Madonna con Bambino dipinta dal figlio di Antonello da Messina. La Vergine porta al collo un rametto di corallo.

Altro simbolo portafortuna, la Pigna, che favorisce fertilità e abbondanza. È di qualche giorno fa un’intervista al nostro Primo Ministro dietro le cui spalle si vedono sulla scrivania, tre piccole pigne nei colori della nostra bandiera.

Un rito per avere positività per l’anno nuovo, era anche ripulire il 31 dicembre da cima a fondo la casa, questa pratica diventava non solo esteriore ma predisponeva anche a un rinnovamento interiore.

Yeats diceva: «Il mondo è pieno di cose magiche, pazientemente in attesa che i nostri sensi si acuiscano».

Il 31 dicembre "questi sensi" improvvisamente si risvegliano, e tra passato e presente, chi tanto chi poco, riproduciamo anche per abitudine alcuni di questi riti, e considerando i tempi che stiamo attraversando, forse non è poi così sbagliato.

Buon 2023 a Tutti.
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