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Sorgeva in mezzo ad un vastissimo agrumeto di Bagheria: la storia infelice di Villa Larderia

Probabilmente pochi anche tra gli stessi baarioti conoscono la storia, alquanto contorta, di questa villa unica nel suo genere, oggi purtroppo soffocata in mezzo ai fabbricati rurali

Sara Abello
Giornalista
  • 7 dicembre 2021

Villa Larderia a Bagheria (foto di Saro Giammanco)

Sarebbe proprio il caso di dire “Gente stramba il ciel l’aiuta!”, e a Bagheria di bizzarrie ce ne sono ovunque ti giri, alcune però sono talmente ben nascoste da sfuggire anche alla vista dei suoi abitanti. Il luogo che per eccellenza raccoglie in sé tutte le stramberie è di sicuro Villa Palagonia, e questo ce lo riconoscono in tutto il mondo.

Abbiamo però un posticino meno noto, un gioiello insolito di bizzarria barocca, visibile dall’esterno solo nella sua facciata principale, soffocata da una moltitudine di casine che le si sono aggrappate intorno sino a cancellarne i prospetti, si tratta di Villa Larderia. Passeggiando per lo stratunieddu ci si imbatte in una delle tante piazzette laterali che ti invitano con curiosità ad addentrarti, e procedendo procedendo ci si ritrova davanti un edificio che quasi con difficoltà si riesce a scorgere.

Probabilmente pochi anche tra gli stessi baarioti conoscono la sua storia, alquanto contorta. Villa Larderia infatti, nasceva nel 1752 per volontà di Francesco Letterio Moncada, principe di Larderia, e come tutte le dimore sorte nel ‘700 a Bagheria, era stata concepita come casa di villeggiatura per la sua famiglia, immersa in un limoneto che con il suo inebriante profumo di zagara, fino a qualche anno fa caratteristico delle nostre strade, allontanava la nobile famiglia dal frastuono della vita palermitana e fungeva da luogo di ristoro.
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Nonostante si stenti a crederlo adesso, l’agrumeto era talmente vasto da avere come confine solo la proprietà dei Favazzi lungo lo stratuni, e dei Gravina, principi di Palagonia, sullo stratunieddu. Col passare degli anni però, il palazzo seguì il destino degli altri parchi delle ville bagheresi, lasciando spazio, suo malgrado, al centro abitato e alle viuzze, tanto che oggi è letteralmente impossibile la netta visione del monumento, inghiottito dall’urbanizzazione selvaggia.

Tra le anomalie che caratterizzano Villa Larderia, prima tra tutte, c’è la sua storia infelice. Nasceva infatti come tenuta vacanziera di una famiglia nobiliare ma, alla morte del suo committente nel 1813, la famiglia Larderia, avendo grossi problemi economici, vendette la villa al sacerdote Don Giuseppe Chiello, all’epoca beneficiario della chiesa Madrice, che l’acquistò per istituirvi un collegio-scuola, affidato alle suore di Maria Assunta al Borgo di Palermo.

Alla morte del sacerdote la proprietà della villa passò alle stesse suore che, nelcorso degli anni, modificarono gli ambienti adattandoli alle loro esigenze. Non pochi baarioti, fino ad una cinquantina di anni fa, hanno frequentato lì la scuola dell’infanzia, compresa mia madre, io invece ricordo di esser riuscita ad accedere per dare un’occhiata, una sola volta, da bambina, circa una ****ina di anni orsono, i miei dettagli anagrafici non sono poi di grande interesse, ne convenite?!

Nell’ottocento, come era usuale all’epoca, era presente anche la rota degli esposti, dove venivano lasciati i neonati indesiderati o che le donne, spesso giovanissime, non potevano tenere. Poi nel post guerra, il convento sorto nel frattempo, fu anche usato per la distribuzione del cibo ai tanti che erano in grosse difficoltà economiche e allora ci si ritrovava lì in fila, con il proprio tegamino, per prendere un mestolo di pasta cucinata dalle suore.

Le anomalie di Villa Larderia non finiscono qua però...lo si potrebbe definire l’edificio dei “vorrei ma non posso”. Oltre alla vendita forzata dai disagi economici subentrati alla morte del principe, e quindi un’inversione di rotta netta in quella che era la sua destinazione d’uso concepita inizialmente, si aggiunge anche il fatto che la sua costruzione sia rimasta incompiuta.

L’ingresso è sistemato proprio al centro della facciata ma non corrisponde a quello originario. Alla villa infatti, si perveniva attraverso un largo viale, come di consueto in questi edifici monumentali, che occupava l’area dell’odierna via Diaz (adesso
dovreste conoscerla anche voi perchè ve ne ho raccontato in merito alla casa natía di Guttuso).

Poi, quando nel 1769 il principe Branciforti fece tracciare il Corso Butera, u stratuni per intenderci, l’ingresso venne
spostato. Il prospetto della villa presenta un andamento curvilineo, tipicamente barocco, dove convesso e concavo si alternano e, dato che non fu mai completata, si può presumere che in ogni parte concava dei prospetti doveva essere inserita una grande scala esterna, come ricorre in tutte le altre ville baariote dell’epoca.

La presenza al piano nobile, sotto ad ogni finestra, di mensole che dovevano sostenere i balconi, mai costruiti, ci ribadisce ancora una volta quale dovesse essere il progetto iniziale, rimasto incompiuto. Non ci sono solo aneddoti tristi da raccontare su Villa Larderia per fortuna, nonostante sia impossibile leggere la pianta dell’edificio a causa delle case abbarbicate tutte intorno, le si deve riconoscere un tratto di unicità.

La villa ha infatti una pianta di forma inconsueta, stellare, talmente insolita da essere unica nel sud dell’Italia e comunque una vera rarità. Il primo piano, un tempo utilizzato esclusivamente dal nobile proprietario e dalla sua famiglia, è simile al piano terra che invece aveva funzioni di servizio e i due piani sono collegati da una piccola scala, dal momento che manca la grande scala esterna o interna tipica di tutte le altre ville.

Quello che avrebbe potuto esser meta di turisti con annessi e connessi, si è trasfomato in un palazzo fantasma, occultato da una miriade di costruzioni, privato del suo spazio vitale e riconvertito nel corso dei secoli. Oggi credo sia abitato ancora da un paio di suore rimaste. La piazza invece, un piccolo angoletto di paradiso che dà l’idea di trovarsi in una bolla spazio-temporale dove l’aria è differente, è per fortuna ravvivata da un gruppo di giovani imprenditori che ne hanno salvato le sorti grazie all’apertura di un locale che, di fatto rivitalizza uno scorcio a lungo dimenticato.
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