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Tu chiamala pernacchia: quando Palermo divenne famosa per le sonore prese in giro

Questa singolare "arte" ha origini militari ma contagiò in città politici e nobili importanti che si distinguevano con questo gesto nonostante i rigidi protocolli sociali

  • 3 febbraio 2020

Asterix in una famosa pernacchia

Se qualcuno si immagina che gli autori di queste caratteristiche “cadenze fonetiche“ fossero gente del popolo, "gentuzzi", è in errore. Erano, invece, giovani aristocratici, eredi di enormi fortune, intellettuali, ed avevano in comune un modo di affrontare la vita in modo goliardico, giocondo, provocatorio, burlesco e spavaldo.

Luigi Barzini, già inviato del “Corriere“ in Cina durante la guerra dei Boxers, amava raccontare che anche un reparto da sbarco italiano vi partecipò. Era tipico allora che quando le nostre truppe si trovavano lontano dall’Italia, rimanessero senza munizioni. E la Cina è molto lontana.

Questo pugno di militari italiani, erano quasi tutti meridionali e durante il picco della battaglia si ritrovarono a corto di munizioni, quindi conservarono gelosamente gli ultimi caricatori per l’ora del corpo a corpo. Che fare nel frattempo? Risposero ai fucilieri nemici con micidiali bordate di…pernacchie.
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La volgarità della fonesi di questi suoni, divenne con il passare dei secoli prerogativa dei giovani nobili, figli di capitani d’industria ed ereditieri che vivevano tra lo scialacquio assoluto. Essi ne fecero un’arte, da esprimere quando andavano al teatro, al cinema oppure per denigrare qualcuno.

Anche il principe Amedeo di Savoia duca d’Aosta, nella sua sosta palermitana ne fu contagiato. Egli, infatti, soggiornò a lungo a Palermo, quando era soltanto Duca delle Puglie, prima ancora di diventare un uomo tutto d’un pezzo ed un eroe nazionale. Era uno studente universitario, proprio a Palermo si laureò in giurisprudenza con la tesi "I concetti informatori dei rapporti giurudici fra gli Stati moderni e le popolazioni indigene delle colonie".

Aperto con i suoi coetanei, naturalmente frequentava gente del suo rango, amava scorrazzare per la città in sella ad una motoretta e giocava a tennis con Beppe Albanese. Erano ancora lontani i tempi che lo avrebbero proclamato “l’eroe di Amba Alagi“. Proprio dai suoi amici palermitani, imparò la non facile arte delle pernacchie.

Si adeguò perfettamente al linguaggio della pernacchia, fregandosene della sua dignità regale. I suoi maestri, che non erano neppur essi di bassa estrazione sociale, dissertavano sulla origine della pernacchia, dicevano che gli inventori fossero i napoletani che la definirono "un incrocio tra la pernice e la cornacchia" e si vantavano che ormai tenevano testa agli inventori.

A Titì Arista, l’ultimo direttore del settimanale umoristico "Piff-Paff", si riconosceva il merito di avere arricchito lo sberleffo con alcune “variazioni fonetiche“ quali quella interrogativa, esclamativa, patetica ed erotica. Una volta nello studio di Peppino Ardizzone (Giornale di Sicilia) fu acclamato per una sua “enunciazione fonetica del Teorema di Pitagora”, sciorinando una sequenza di pernacchie, ognuna delle quali corrispondeva ad un valore algebrico.

La “fonetica più potente“ era indubbiamente quella di Enrico Sarretta, direttore del giornale "L’Ora", in seguito anche commediografo. I suoi “sberleffi“ erano un’esagerazione di “potenza e durata“; qualcuno li definì “di classe internazionale“. Al pubblicista Mario Russo, una volta Ignazio Florio confidò che si trovava a Parigi insieme al principe di Lampedusa ed Enrico Sarretta.

Dopo una notte di divertimenti, alle prime luci dell’alba transitavano in automobile presso Piazza Vendòme che era chiusa al traffico, perciò furono fermati da un vigile. Questi incominciò una lunga e vivace contestazione nei loro confronti ma i tre gentiluomini palermitani non lo capivano.

D’un tratto Enrico Serretta emise un’assordante e lunga pernacchia, tanto da essere paragonata al suono del “corno“ Olifante, che lasciò a bocca aperta il vigile. Il Florio esagerando disse di “aver visto vibrare la colonna Vendòme“. Fu un attimo, approfittando dello stupore del vigile, il Florio innestò la marcia e scapparono.

Altri stimati fautori di questi “strepitìi labiali“ furono il principe Franz di Scalea, l’alto dignitario del "Corda frates" Mario Celentano, che addirittura “componeva intere sinfonie dodecafoniche“. Addirittura intorno al 1910, lo spernacchiatore diventò una professione. Egli veniva “affittato“ per conto terzi e riceveva regolare compenso. Si ricorda a proposito, un tale che ebbe un posto stabile al Municipio dopo avere apostrofato il Sindaco di Palermo con una clamorosa pernacchia.

Colui che gli aveva commissionato lo sberleffo al sindaco, voleva dileggiare l’amministrazione della città. Raggiunse il suo obiettivo perché vi fu una crisi amministrativa. Lo sberleffatore divenne talmente famoso che fu conteso ed ingaggiato dagli aristocratici della città ma non potè più entrare al municipio.

Un’altra pernacchia famosa colpì Felice Cavallotti, politico di professione, nonché svelto di lingua di penna ed anche di spada. Il Cavallotti, da buon politico, spesso veniva a Palermo, organizzava qualche comizio ed ammaliava i palermitani con la sua tanto riconosciuta “arte oratoria“.

Quella volta la folla era accorsa nella piazza della Fieravecchia (Piazza Rivoluzione). Naturalmente non solo i curiosi ma anche gli avversari politici si erano recati sul luogo, al fine di disturbarlo. Ogni gruppetto si era dislocato in un punto della piazza per assistere al comizio. In quella occasione c’era veramente tanta gente.

Quando il Cavallotti si affacciò dal palco da cui avrebbe dovuto fare il comizio, fu acclamato in maniera esagerata, tanto che gli avversari politici non osarono contestarlo. Finiti gli applausi, vi fu il tanto atteso silenzio in attesa del discorso. Il Cavallotti esordì dicendo: «Popolo di Palermo forte e gentile!».

Dai quattro angoli della piazza gli fece eco una impetuosa sventagliata di pernacchie. Il battagliero politico dovette quindi spezzare il discorso. Si bloccò, riprese fiato, osservò la folla in un lasso di tempo che sembrò interminabile, quindi, dominando il suo livore, ricominciò il discorso: «Popolo di Palermo… più forte che gentile!».

Questa volta la piazza si abbandonò ad una collettiva crisi di buon umore che salvò la situazione. Anche gli avversari politici riconobbero in lui un uomo di spirito che meritava di essere lasciato al suo compito. Anche perché il Cavallotti non era Palermitano ma forestiero, cioè, non era nato a Palermo.

E si sa che Palermo, ha sempre rispettato gli ospiti. A tal proposito, proprio a piazza Rivoluzione, la statua del Genio di Palermo recita: «Panormus conca aurea sous devorat alienos nutrit».
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