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Un tempo è stato luogo per aristocratici ed élite: "u Cupuluni" dimenticato di Bagheria

Passeggiando per il paese e i suoi scorci dimenticati ci si imbatte senza neppure rendersene conto, in ciò che resta di una struttura architettonica tipica del XVIII secolo: il Coffee House di Villa Valguarnera

Sara Abello
Giornalista
  • 3 ottobre 2021

Ad un passo dal centro storico di Bagheria, ci si imbatte senza neppure rendersene conto, in ciò che resta di una struttura architettonica tipica del XVIII secolo: il Coffee House di Villa Valguarnera, meglio noto dai bagheresi come “u cupuluni”. Del resto si sa che i siciliani amino i vezzeggiativi.

Si tratta di veri e propri “esercizi di stile architettonico”, con cui la classe nobiliare era solita adornare gli immensi parchi che contornavano le sontuose dimore, prima ovviamente che l’abusivismo edilizio avesse la meglio e mordicchiasse pezzo dopo pezzo zolle di terreno, optando costantemente per poco garbate colate di cemento.

I coffee house, considerati come archetipo dei più moderni chioschi, si diffusero a partire dalle dimore aristocratiche e dai circoli, giungendo sino ad essere riproposti in edifici commerciali con l’attuale accezione. Quando si parla di queste strutture bisogna comprendere che non si sta semplicemente facendo riferimento ad una pratica architettonica, bensì ad una maniera di relazionarsi in pubblico tipica dell’aristocrazia a cavallo tra settecento e ottocento.
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Mentre da una parte la borghesia era solita riunirsi nei caffè cittadini, dall’altra vi era l’aristocrazia che optava invece per quei padiglioni, simbolo della condizione elitaria, posti all’interno della proprietà ma generalmente distanti dal corpo principale, in luoghi particolarmente freschi, ventilati e isolati, dove poter dissertare indisturbati, gustare merende o addirittura giocare.

In questo modo si dà vita a quello che fu uno stile architettonico in cui si sono cimentati tra i più noti architetti del tempo, italiani o europei che, nell’intento di soddisfare la committenza, hanno sperimentato, inserendo di volta in volta le tipicità del periodo di realizzazione o riproponendo revival architettonici. Ovviamente le realizzazioni ditali costruzioni dipendevano dalla sensibilità e soprattutto dalle possibilità economiche del signore della villa che ne ordinava l’edificazione. Il detto “quantu spienni manci” è una costante di ogni tempo del resto.

In Sicilia, architetti del calibro di Venazio Marvuglia, Carlo Giachery e Giovan Battista Filippo Basile, realizzarono tali costruzioni, soprattutto nelle campagne palermitane. Villa Valguarnera è senza dubbio da considerarsi uno dei più rappresentativi esempi di villa settecentesca della cittadina di Bagheria.

La costruzione del suo vastissimo parco è databile a partire dal 1725 e pare avesse un assetto molto complesso, che prevedeva la presenza di ben due coffee houses, uno dei quali distrutto alla fine degli anni cinquanta. Ad oggi sono visibili solo pochi resti degli antichi affreschi con motivi allegorici che adornavano l’emiciclo e la calotta e che riversano davvero in pessimo stato di conservazione anche a causa dell’esposizione perenne agli agenti atmosferici, restano inoltre i conci di calcarenite, provenienti dalle cave di Aspra, che costituivano la seduta interna.

È ormai impossibile ipotizzare quale fosse l’antico tessuto del parco a causa dell’incontrollata speculazione edilizia che ha afflitto, e continua ancora a farlo, la città delle ville. Il coffee house risulta “incastrato” tra le alte palazzine da una parte e un ampio edificio scolastico dall’altra, lo si scorge quasi per caso tra le sterpaglie e solo con un occhio attento, sebbene andrebbe riqualificato e offerto alla visite di cittadini e turisti, come esempio non solo di un’architettura ormai andata perduta, ma anche come simbolo dello stile di una classe elitaria che aveva eletto la nostra cittadina a meta per la bella stagione.
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