"Quello che rimane": una mostra a Palazzo Branciforte riflette sui temi di libertà e reclusione

Installazione "Il buco nella rete" (dettagli)
Si intitola "Quello che rimane" la mostra che Palazzo Branciforte ospita dal 28 febbraio al 28 marzo. Una riflessione corale sui temi della libertà e della reclusione per un'esposizione, ideata da Loredana Longo, curata da Elisa Fulco e da Antonio Leone, che è risultato finale del progetto "L'arte della libertà", tenutosi all'interno della Casa di Reclusione Calogero di Bona – Ucciardone di Palermo.
Un diario di bordo che documenta con scritte, disegni e oggetti il processo artistico che ha trasformato l'esperienza del tempo condiviso di trenta persone, tra detenuti, operatori socio sanitari, operatori museali e polizia penitenziaria, in installazioni, video e performance. Opere disseminate negli spazi labirintici del Monte dei Pegni di Palazzo Branciforte, che funzionano come capitoli di una storia attraverso cui rileggere le tappe del progetto.
Dall'insegna luminosa "Volare per una farfalla non è una scelta", all'omonima maglietta che ospita la frase-manifesto del progetto, elaborata dal gruppo il primo giorno di lavoro; dall'installazione "Il buco nella rete", composta di strisce di tessuto su cui sono raccolte le frasi sulla libertà realizzate dal gruppo misto dei partecipanti, le cui parole fluorescenti, appositamente illuminate, aprono nuove prospettive, a "Il Tempo che rimane", sorta di tenda che scandisce il tempo in parti uguali, ospitando modi diversi di rappresentarlo e di interpretarlo graficamente.
A cui si aggiunge il ciclo di performance che, attraverso le video installazioni, mette in scena il cambiamento del rapporto tra tempo e spazio quando ci si muove in percorsi obbligati e costrittivi come in "Avanti e indietro" dove il corridoio diventa il luogo di passeggiate forzate; o in "La mappa dell'abitudine", ricostruzione dello spazio di una cella a partire dai disegni preparatori.
In "Il Tempo del tempo libero", sono mimati i camminamenti dei detenuti nelle ore di libertà, le cui tracce diventano dei ghirigori grafici che segnano le traiettorie prodotte dai performer indossando stivali di gomma con tacchi di grafite; e in "Il muro di carne" dove un cerchio umano impedisce alle persone di uscire.
La mostra, dunque, ribalta e cancella le distinzioni tra libertà e detenzione, rivelando l'ambiguità implicita nel concetto stesso di libertà, mostrando come la creatività, sospendendo ruoli e funzioni sociali, riporta l'attenzione sui bisogni e i desideri comuni, creando una nuova immagine del carcere, che apre e collega simbolicamente il dentro al fuori.
Un diario di bordo che documenta con scritte, disegni e oggetti il processo artistico che ha trasformato l'esperienza del tempo condiviso di trenta persone, tra detenuti, operatori socio sanitari, operatori museali e polizia penitenziaria, in installazioni, video e performance. Opere disseminate negli spazi labirintici del Monte dei Pegni di Palazzo Branciforte, che funzionano come capitoli di una storia attraverso cui rileggere le tappe del progetto.
Dall'insegna luminosa "Volare per una farfalla non è una scelta", all'omonima maglietta che ospita la frase-manifesto del progetto, elaborata dal gruppo il primo giorno di lavoro; dall'installazione "Il buco nella rete", composta di strisce di tessuto su cui sono raccolte le frasi sulla libertà realizzate dal gruppo misto dei partecipanti, le cui parole fluorescenti, appositamente illuminate, aprono nuove prospettive, a "Il Tempo che rimane", sorta di tenda che scandisce il tempo in parti uguali, ospitando modi diversi di rappresentarlo e di interpretarlo graficamente.
A cui si aggiunge il ciclo di performance che, attraverso le video installazioni, mette in scena il cambiamento del rapporto tra tempo e spazio quando ci si muove in percorsi obbligati e costrittivi come in "Avanti e indietro" dove il corridoio diventa il luogo di passeggiate forzate; o in "La mappa dell'abitudine", ricostruzione dello spazio di una cella a partire dai disegni preparatori.
In "Il Tempo del tempo libero", sono mimati i camminamenti dei detenuti nelle ore di libertà, le cui tracce diventano dei ghirigori grafici che segnano le traiettorie prodotte dai performer indossando stivali di gomma con tacchi di grafite; e in "Il muro di carne" dove un cerchio umano impedisce alle persone di uscire.
La mostra, dunque, ribalta e cancella le distinzioni tra libertà e detenzione, rivelando l'ambiguità implicita nel concetto stesso di libertà, mostrando come la creatività, sospendendo ruoli e funzioni sociali, riporta l'attenzione sui bisogni e i desideri comuni, creando una nuova immagine del carcere, che apre e collega simbolicamente il dentro al fuori.
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