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Chi è la figlia dell'ultimo rais di Favignana: Antonella è tornata a vivere nella sua isola

Antonella sta lavorando, da un paio di anni, alla ricostruzione della vita del padre che non c'è più, perché di lui si conoscono poche cose. Vi raccontiamo la sua storia

Jana Cardinale
Giornalista
  • 2 febbraio 2023

Antonella Cataldo

Un luogo amato è un luogo capace di amare, e di farci stare bene. Affidarsi totalmente alla sua cultura, alla sua storia e alle persone che lo popolano, significa colmare il cuore di devozione e di pace.

Così, con questo trasporto, Antonella Cataldo è tornata a Favignana, la sua casa, per restare, recuperando anche gli anni lontani dalla quella sua terra, e il legame più intimo con suo padre, adesso che non c’è più.

Un padre importante, simbolo di quel mare che tanto ha dato ai suoi abitanti e alla vita dell’isola, tra le più belle del Mediterraneo. Un uomo che è stato leggenda, Gioacchino Cataldo, morto a 76 anni, e riconosciuto nel 2003 come patrimonio culturale dell'umanità.

«Dopo tantissimi anni sono tornata a vivere a Favignana seguendo un percorso simile a quello di mio padre – dice - . A 15 anni volevo scappare via da qui e la pallavolo e la mia militanza in serie A me ne ha dato l’occasione. Ho vissuto tanti anni a Matera, poi a Palermo, a Bari, in una città spagnola, Burgos, e a Roma.
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Gli anni sportivi che mi hanno vista impegnata a fare l’atleta, li ho trascorsi in Basilicata, che è una regione che ho amato molto, così come la Puglia. Lì si mangia benissimo, e a Bari ho fatto anche l’Università. Ho lasciato la pallavolo a 36 anni, dopo una carriera da professionista durata 15 anni, ma sentivo che il mio legame con Favignana era fortissimo.

Dal 2018 sono rientrata, per stare accanto a mio padre e seguirlo negli ultimi mesi della sua vita. Sono felice di essere tornata e sono follemente innamorata di questo posto quando ritorna isola davvero, quindi, in inverno.

La dimensione dei territori senza nessuno è un’altra cosa. Io la sento come una grande ricchezza, sento una totale connessione con la solitudine e con la natura, e questo senso di libertà interiore è una meravigliosa conquista».

Questo padre vitale, ‘potente’, famoso, simbolo di un’isola e della sua storia, Gioacchino Cataldo, ha rappresentato la storica attività delle tonnare e dello Stabilimento Florio, dove ha iniziato a lavorare giovanissimo. Ha fatto il tonnaroto per 33 anni e nel 1996 è diventato rais: l'ultimo, e l'ottavo, nella storia dello Stabilimento di proprietà dei Florio.

«Dopo tanti giorni di maltempo – continua Antonella – qui riscopro i miei posti del cuore, riconosco rumori, sento profumi, e mi sono anche fatta un paio d’ore al sole dove ho sentito la felicità, che si raggiunge con piccole cose. Sto proprio bene qui. La mia indole è simile a quella di mio padre e adesso sto ricostruendo il suo viaggio e la sua vita. Lo sto conoscendo molto di più adesso, e mi sento in tutte le cose che mi ha lasciato. Quando è tornato a Favignana nel 1975 – aggiunge - io ero una bambina.

Non comprendevo il suo dispiacere nel dirmi di come fosse stato seppellito, ad esempio, il pontile dei Florio, perché da ragazzina ci vedevo la piazza, ma con il senno di poi, ripensandoci, so che era stata una follia; una cosa di cui siamo tutti responsabili. L’impoverimento dell’isola, che va nella sola direzione del turismo, sta snaturando la sua storia.

Per fortuna c’è lo Stabilimento, la Camparìa che stanno restaurando, ma questo posto sta cancellando quella che era la sua storia straordinaria. Non è un discorso polemico, e non è rivolto a nessuno in particolare. E’ solo una riflessione amara».

Antonella sta lavorando, già da un paio di anni alla ricostruzione della vita di suo padre, scrivendone, perché prima ha dovuto selezionare molto. Perché di lui si conoscono poche cose e invece il rais amava la fotografia, e tanto altro.

«Le foto fatte da mio padre per me sono dei gioielli. Ho riscritto delle cose che lo riguardano. Ho trovato il suo primo contratto di lavoro alla tonnara, del 1° aprile 1975. Elementi che mi lasciano una ricchezza immensa. Lui ci ha lavorato 33 anni e gli ultimi 11 da rais, dal 1975 al 2006.

Sto sentendo la sua vita una cosa mia, e la motivazione che ho è forte. E' quella di volere fare un regalo a mio padre e fare venire fuori ciò che nessuno ha mai visto, perché sento la responsabilità di non cancellare la sua memoria e di fare vedere quanto di bello c’è stato.

E’ un regalo a lui e una cura per me, che sono profondamente legata al suo nome. Mio padre – aggiunge - ha fatto una vita bellissima che altri avrebbero sognato, ha avuto tante soddisfazioni, ma so che le difficoltà dell’ultimo periodo lo hanno fatto ammalare, perché è così che ci ha rimesso la salute; si è deteriorato per le preoccupazioni, i dispiaceri e le delusioni, commettendo anche degli errori, ma di certo il suo amore folle per non fare morire quella che per lui era una ragione di vita, la tonnara e la mattanza, lo hanno fiaccato.

Dopo i tanti problemi economici superati negli ani in cui io e mio fratello eravamo bambini, poteva finalmente stare tranquillo, eppure restava attaccato alla sua idea. Era nato a Favignana, nel ‘61 è partito per il servizio militare, un paio di anni dopo è andato a lavorare in Germania e poi è tornato».

Oggi Antonella dedica il suo impegno all’isola, che ritiene maltrattata, cercando di fare del proprio meglio per tutelarla, lanciando anche un grido d’allarme, che funga da accorata richiesta, e da monito, per chi ci vive. ‘Persone meravigliose’, certamente, ma non basta.

Dopo aver vissuto in quindici città, il bisogno di appartenenza, e di silenzio, oggi è totale. D’estate lavora in un posto che è strapieno di gente, e lei riesce a stare da sola e con le persone quando deve, però sceglie i suoi diversi momenti, trovando questo senso di libertà irrinunciabile.

«Amo Favignana in inverno – dice -. Sarebbe da ipocriti non riconoscere quanto il turismo abbia portato benessere all’isola ma non si può ignorare che l’abbia completamente snaturata, né negare l’attacco selvaggio che subisce durante l’estate, sia via terra che via mare.

Una cosa che mi fa stare male. La preferisco di gran lunga durante il periodo invernale, quando rimaniamo davvero in pochissimi. Non so come ho fatto a stare così tanti anni lontano da lei! I silenzi di quest’isola mi tengono compagnia. Ci sono persone davvero speciali qui, isolani che come me godono di questa splendida natura. C’è chi passeggia, c’è chi va in bicicletta, qualcuno corre. C’è chi raccoglie verdure spontanee che in questo periodo dell’anno crescono rigogliose.

Molti si fermano a chiacchierare al bar. Gli anziani si riposano su una panchina. Ci sono poi i pescatori e c’è chi per passare il tempo esce a pescare. In giro mi fermo a parlare con anime che mi assomigliano. Ci capiamo. Parliamo la stessa lingua. Ho un rapporto particolare con i pesci. Sarà per la storia della mia famiglia…

Chiacchierare tra cielo e mare e poi rientrare al buio, circondati dalla magia delle luci dello Stabilimento Florio, di palazzo Florio e del castello di Santa Caterina, è la mia pace. Eppure c’è chi quest’isola non la ama proprio.

Anzi. C’è chi ne fa scempio – si sfoga - con cumuli di rifiuti lasciati per strada, in bella vista. Non faccio l’elenco di tutto quello che vedo abbandonato e mi chiedo se è giusto pensare che qualcun altro sistemerà le cose al posto nostro. Il mio non è prendere le parti di qualcuno e men che meno tentare un discorso politico.

Sono però convinta che dobbiamo cercare di fare il nostro dovere a prescindere dal modo in cui opera chi sta sopra di noi. A volte mi sento in balia di una grande tempesta. Su una barca, bellissima, che sta purtroppo andando alla deriva. E allora, con i pensieri, me ne torno su quell’altra barca, dove il mare è calmo e dove la mia mente ritrova pace, serenità, e speranza».

Una quiete che si rinnova fotografandone gli angoli più nascosti e suggestivi, abbracciandola con lo sguardo e la voglia di raccontarla, a modo suo.
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