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"Esseri soprannaturali e misteriosi": sono le fate siciliane, come la Monacella della fontana

Una fata misteriosa e benefica che sta a guardia dei tesori che giacciono lungo il corso dei fiumi e delle sorgenti, ha ispirato anche il musicista e compositore Giuseppe Mulè

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 21 aprile 2022

La Monacella della Fontana nell'illustrazione del componimento di Mulè

Lo studioso Giuseppe Pitrè le definiva “esseri soprannaturali e misteriosi”: protagoniste di numerose fiabe della tradizione orale siciliana, le fate sono figure femminili dotate di poteri magici; affascinano e incutono timore al tempo stesso. Nelle novelle isolane le fate sono di solito descritte come fanciulle bellissime, che abitano in magnifici palazzi, in sotterranei, presso le fontane o presso gli alberi; a volte possono assumere forme bizzarre e curiose.

Sono creature spesso capricciose, che si indispettiscono facilmente e che se non vengono accolte con gentilezza possono privare dei loro favori. Si crede infatti che facciano trovare denaro o tesori alle donne di loro simpatia. Le Fate sono vergini e caste ma quando (per raro caso) si innamorano finiscono per perdere i loro poteri.

La Fata Morgana secondo la tradizione orale abita nel Faro di Messina e con la sua bellezza incanta chicchessia; le donne di fuora sono entità soprannaturali benevole, numi tutelari, a cui rivolgersi per la protezione della casa.
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Nel lu curtigghiu di li setti fati (il cortile delle 7 fate) che si trova di fronte al monastero di Santa Chiara e che ha ispirato un noto romanzo della scrittrice palermitana Giuseppina Torregrossa) dimoravano sette donne di fuora, una più bella dell’altra; di notte rapivano un uomo o una donna, li portavano in volo sul mare e li facevano camminare sulle acque; mostravano loro cose mirabili (balli, musiche, banchetti, cose magnifiche) per poi riportarli a casa e sparire alle prime luci dell’alba.

La monacella della fontana è una fata misteriosa e benefica e la leggenda della sua esistenza era un tempo diffusa in gran parte dell'Isola, ma soprattutto nella zona dei Monti Iblei (Chiaramonte, Modica). Sta a guardia dei tesori che giacciono lungo il corso dei fiumi e delle sorgenti.

Le fonti hanno spesso grande fama per presunte proprietà taumaturgiche o propiziatorie e sono abitate, secondo credenze o tradizioni centenarie, da esseri soprannaturali come le ninfe (divinità di tutte le acque correnti e di tutte le sorgenti) o come la Monacella che si presenta nelle sembianze di una fanciulla, sempre molto pallida.

Questa strana creatura porta il soggolo (striscia di tela che avvolge il collo e fascia il viso, ricongiungendosi sulla sommità del capo) come le monache e indossa tre vesti: una tutta nera che è la più corta, sovrapposta sia alla seconda che è color turchese che alla terza, di colore giallo che è la più lunga. La monacella appare sempre in compagnia di un cane, portando in dono un canestro colmo di fiori e monete d’oro. Si manifesta tre volte all'anno, in tre martedì successivi di Giugno e si dilegua tuffandosi nella fontana, dove si discioglie nell’ acqua.

La Monacella offre danaro alle persone che incontra, ma in cambio pretende che essi si immergano insieme a lei nella sorgente. Non sparisce se ci segna con la croce (prova evidente che non appartiene alla classe dei demoni) ma non ama medaglie benedette, rosari o immagini sante.

A Palermo, dove si vedeva apparire entro il palazzo della Zisa bella, gentile, delicata, con il suo soggolo bianchissimo e un grazioso grembiule, si diceva che la monacella fosse una figliola di qualche re di Sicilia, vittima di un incantesimo.

A Chiaramonte Gulfi stava a custodia della più antica fontana a settentrione dell'abitato; a Modica alla fontana di San Giovanni, accanto all'antica chiesa abbandonata che portava lo stesso nome. Veniva avvistata pure a Spaccaforno dove custodiva la fontana detta della Cava grande.

Il Pitrè riporta il caso di Mariuccia, una fanciulla di 14 anni, che recatasi alla fontana per riempire la brocca (quartara) d’acqua, in una notte di luna piena con sommo stupore vide una monaca con un cane: “Sarà fuggita dalla Badia?” si disse, ma fece finta di nulla. Riempita la brocca si affrettò a tornare a casa; ma la monacella le si avvicinò, le mostrò il canestro, pieno di monete e la invitò a prendere il denaro. Sentendo quelle parole la fanciulla comprese di avere a che fare con la Monacella della fontana, di cui aveva sentito molto parlare e scappò, in preda alla paura.

Entrata in casa pallida, terrorizzata, raccontò il fatto alla madre; ma quando finì di spiegare la vicenda, invece di esser consolata, venne picchiata: «Scellerata! Mi hai fatto perdere la buona sorte!”. Esclamò la donna, che si rasserenò solo quando la figlia le disse che la Monacella l’avrebbe aspettata alla fontana da lì ad otto giorni, al martedì seguente.

Come giunse l'altro martedì, costretta dalla madre, Mariuccia si recò alla fontana con la brocca, dove trovò la Monacella col canestro dei fiori e col cane. La fata le offrì nuovamente il denaro: “Se lo vuoi, vieni a prenderlo nella fontana”.
La ragazza spaventata le rispose: “Mai! mai! Mai! Meglio vivere di elemosina che perdere l'anima!”.
Quando arrivò a casa la madre, risaputo il fatto, cominciò a picchiarla più forte della volta precedente. Venne finalmente il terzo martedì, e la madre per tranquillizzare Mariuccia le avvolse mani e gambe di immagini sacre, gli pose il rosario in mano e l'abitino della Madonna del Carmine sul busto.

La ragazza si avviò alla fontana con lo spavento nel cuore, pregando tutti i santi. Quando la Monacella la vide esclamò: “Benvenuta, ci vieni con me dentro la grotta dove scaturisce quest'acqua? Togliti l'abitino della Madonna del Carmine e getta via il rosario».

A queste parole la fanciulla cadde priva di sensi e si ammalò gravemente. Guarì e rimase in vita per miracolo e la madre che aveva rischiato di perderla per avidità, imparò la lezione e da quel momento in poi non si lamentò più.

Questa inquietante leggenda siciliana della Monacella ha ispirato il musicista siciliano Giuseppe Mulè (amico e compagno di Gino Marinuzzi) nel comporre nel 1920 l’atto unico: “La Monacella della Fontana.” L’opera musicale rappresentata per a prima volta a Trieste nel 1923 è ambientata nella campagna assolata e riarsa dal sole di Monreale, dove il popolo soffre la siccità e la carestia e dove sboccia l’amore tra Maru (soprano) e Pedru (tenore). La Monacella (contralto) è una figura soprannaturale che nel corso del rito per la Madonna del Carmine compirà il miracolo di far crescere le messi.

Nel 1922 la Commissione nominata dal Ministero della Pubblica istruzione, composta dai maestri Cilea, Mascagni, Puccini e Nicola d’Atri, assegnò per “La Monacella della fontana” a Mulè il premio di Lire 25.000 (pari a € 25.000 di oggi) Il musicista acquistò in seguito una villetta a Fregene in una strada che oggi si chiama proprio “Via della Monacella”.
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