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Il cuore degli arrotini di Palermo: qui "si stagnano pentole e si riparano cucine a gas"

Via Calderai si trova in quello che fu il vecchio quartiere ebraico, uno dei cuori pulsanti di Palermo, seguendo il letto, ormai asciutto, del torrente Kemonia

Alessandro Panno
Appassionato di sicilianità
  • 16 agosto 2023

Via Calderai, Palermo (foto Domusweb.it)

Giorni fa mi trovavo fuori con Marley, il mio cane di mannara domestico.

Eravamo appena tornati da una passeggiata in cui lui aveva annusato tutto il possibile e fatto pisciatine strategiche, mentre io, nel frattempo, gli avevo fatto un lungo discorso, cercando di fargli capire, che è cosa tinta assai scavare voragini nel prato che il padrone si ammazza la vita a mantenere in stato almeno decoroso, e che se lo rifaceva le conseguenze sarebbero state severe.

Il suo sguardo mi ha fatto capire chiaramente che se mi ninniava a cuogghiere luppina era meglio.

A distrarmi dai miei profondi discorsi educativi cinofili, ci pensò una voce amplificata proveniente, senza dubbio alcuno, da un megafono legato a comegghiè sul tetto di una vecchia Seat Ibiza tutta sminchiata, con la capacità di farmi tornare a tempi che furono di picciriddanza, quando al "soave" richiamo megafonato, «si stagnano pentole e si riparano cucine a gasse», mia nonna prendeva la "pugnat", che periodicamente aveva bisogno di manutenzione.
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La pugnat era una specie di tegame, termine dialettale genovese, in rame, che mia nonna si era portata direttamente da Genova, e che lei considerava l’equivalente del Sacro Graaal, probabilmente a ragione, dato che da li uscivano pietanze dalle contaminazioni siculo-liguri che c’era i livarisi u tistali.

Ma quando venne il giorno in cui a mia nonna servì una nuova teglia per fare lo sciattamaio, (e questo ve lo cercate), di cui io ero ghiottissimo, mio nonno mise il testa il suo immancabile Borsalino, s’aggiustò il nodo della cravatta, mi pigghiò mano manuzza, e percorrendo a piedi, come era sua abitudine, chilometri di strade palermitane, mi portò con lui in via Calderai.

La via Calderai era ed è, forse oggi un pò meno, un crogiolo unico di artigiani capaci di realizzare dalla grezza materia informe accessori di ogni tipo.

Si trova in quello che fu il vecchio quartiere ebraico, ad oggi compreso tra la via Lampionelli, via San Cristoforo, via Livorno, via Giovanni da Procida e la via Maqueda, seguendo il letto, ormai asciutto, di quello che fu il torrente Kemonia (il fiume, assieme al Papireto, continua a scorrere interrato nel sottosuolo).

Al centro del quartiere si trovava la Sinagoga, chiamata dagli autoctoni Meschita (con relativo vicolo omonimo ancora oggi esistente), o Meschitta, forse per assonanza alla Moschee che a quei tempi erano piuttosto presenti sul territorio.

Il quartiere era uno dei cuori pulsanti di Palermo, crocevia di culture diverse tutte perfettamente integrate, vivo, tumultuoso, centro economico e culturale della città.

Almeno fino a quando Re Ferdinando II d’Aragona detto il cattolico, e biri chi manci, decise che tutto quella presenza Giudaica non gli calava manco pu chignu, e promulgato l'editto di Granada, (o di Alhambra), nel 1492, impose agli ebrei di lasciare immediatamente il suo regno, facendo divenire, successivamente, la Sinagoga un monastero, ribattezzandola con il nome di San Nicolò da Tolentino.

Sta di fatto che mio nonno si fici fare na tegghia che era troppo bella, sopravvissuta negli anni, ed ancora oggi presente ed in forze nella cucina di mia madre.

Ma se era tempo di astrattu e passata, in via Calderai, ci trovavi i quararuna e passapummaruoro, nel periodo delle castagne attruvavi na facciata a furnacedda per le caldarroste, e non c’era fruttivendolo, a Palermo, che non si facesse fare da loro a quarara di rame dove facevano trovare ai loro clienti pollanche, patate e cacoccioli già belli vugghiuti per portarisilli a casa e cunzare a tavula i subito.

Maestranze di livello alto, conosciute con l’ appellativo di calderai ru caldu, ovvero gente capace di procurare ed incamerare il calore. Cosi chi pampini!

Persino il nostro Pitrè riporta la testimonianza di un viaggiatore e scrittore scozzese, tale John Galt, che, durante un viaggio nel Mediterraneo, nell’ 800, si trovò a passare da Palermo, precismente da via Calderai, e ne scrisse, «...il sito forse più tumultuoso di tutta l'Europa, dove si ammassano considerevoli blocchi di stagno per la manifattura di lampade, forchette e altri utensili da cucina...».

E solo lì, infatti, potevi trovare i mastri capaci di rettificare e regolare le stadere, u valanzune, autorizzati ad apporre il loro marchio come garanzia di un lavoro ben fatto.

Nell’anno 1931, il palermitano Franco Lombardo apre li una putia per riparare cucine.

Sua fu la Primus, antenata della Bibigas, primissima cucina moderna, ad uno o due fuochi, alimentata prima a petrolio e poi a gas che nel dopoguerra entrò nelle case di moltissimi palermitani, ivi compresi i mei nonni, andando addirittura oltre lo stretto, e rendendo decisamente più agevole la vita ri massare che fino ad allora usavano legna e muscarolo per accebdere il fuoco ove mettere a pignatta.
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