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In Cinico Tv era Rocco Cane, detto "l'uomo triste": chi è oggi il signor Miranda (a colori)

Fa parte della storia della tv italiana. Con i suoi squallidi, sbracati, tristi, compagni di avventura, ha fatto di Cinico Tv un cult, mettendoci tutti di fronte alla realtà

  • 2 ottobre 2022

Marcello Miranda (foto ©️Antonino Costa)

Trovarselo di fronte (a colori per altro), per chi ha amato (e odiato) Cinico Tv, non è un'emozione da poco.

L'ho guardato e studiato per anni, da ragazzina, in quello schermo mezzo sfasciato che avevo nella camera da letto e di nascosto ai miei, provando a tratti tenerezza, a tratti pietà, a tratti repulsione. E credo che sia stato proprio il risultato di tutte queste emozioni ad avermelo fatto amare. Lui, come tutti gli altri personaggi e, in generale, Cinico Tv.

L'idea, ma soprattutto la voglia di cercarlo, mi è venuta qualche mese fa, dopo aver visto una mostra proprio sul format ideato da Franco Maresco e Daniele Ciprì che dal '92 al '96 ha divertito e stupito centinaia di migliaia di italiani, turbandone altrettanti.

Chissà che fine hanno fatto, chissà cosa accadeva durante le riprese, chissà com'è iniziato tutto. Queste alcune delle domande che mi ronzavano in testa mentre mandavo giù sorsate di birra fredda insieme a quelle scene che, non solo non vedevo da trent'anni, ma che con trent'anni in più all'anagrafe sono diventate ancora più difficili da digerire.
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Cerco Marcello Miranda, in arte "Il terribile Rocco Cane". Lo trovo. Accetta di farsi intervistare ma in realtà la prima domanda è lui che la fa a me: «Ti posso chidere una cosa? Perché hai voluto intervistarmi?».

Gli rispondo più o meno con le parole che ho usato per l'attacco di quest'articolo. E lui sorride. Proseguiamo.

Iniziamo da principio. «Andiamo alla base - comincia il signor Miranda -, io nel 1984, praticando le videoteche ho conosciuto Franco Maresco in via Sammartino, dove lui aveva il negozio di noleggio. Sono diventato un suo affezionato cliente perché mi piaceva lo stesso genere che piaceva a lui. Lui era un cinefilo oltretutto, dopo un paio di mesi iniziò a farsi vivo un tal Daniele Ciprì, come cliente, allorché nacque tra loro un’amicizia.

Settimane dopo mi dissero che parlando tra loro avevano avuto un’idea, la bella idea di fare degli sketch cinematografici a Palermo, e tempo dopo iniziammo a girarli, in maniera amatoriale, giravamo all'interno della Favorita (parco di Palermo, ndr). Eravamo io, Pietro Giordano, Francesco Tirone. Strada facendo iniziano la collaborazione con Enrico Ghezzi di Blob. E qui ci fu una nuova idea di fare delle cose per Rai 3, così facemmo dei piccoli cortometraggi, Cinico Tv e In senso cinico.

Ebbero molto successo - continua Miranda -, un grande seguito, al punto che Serena Dandini propose per la Rai di farne nel 1992, 49 puntate inserite nel suo programma. La gente si divertiva».

Anni belli quelli. Poi seguirono, nel 1997 due film, "Lo zio Brooklyn" e "Totò che visse due volte" dove Miranda interpretava Paletta... «Furono attaccati, Totò che visse due volte fu considerato blasfemo - ricorda Miranda - e molto criticato, in commissione lo hanno bocciato… C'era qualche scena che poteva essere considerata di "poco gusto" ma la critica comunque ne parlò bene».

La curiosità mi mangia viva, voglio sapere infatti come venivano girate la scene di Cinico Tv, quale fosse la preparazione. «In Cinico tv - racconta - non interpretavamo un personaggio come inteso nel senso comune, il nome che veniva usato era il nostro ma una parte comunque la recitavamo. Doveva sembrare tutto reale, Ciprì e Maresco amavano il bianco e nero e la realtà dei posti poveri e malfamati, munnizza, case diroccate.

Le scene non erano studiate, erano al momento, si improvvisava, ci trovavamo in un posto e gli veniva l'idea di fare una scena, e si ripetevano mille volte, minimo 4-5 volte. Lo stesso per i film. In Totò che visse due volte , c'è una scena in cui cammino per andare a rubare gli argenti dall'Ecce homo, ricordo che azionarono le pompe dei pompieri per fare piovere e mi feci la doccia qualche sette, otto volte. È stata dura.

Altra scena dura fu quando mi hanno appeso sulla croce, accanto a Barabba. Mi hanno sceso dalla croce diverse volte e mi facevano risalire, un dolore pazzesco. Salivamo con la scala e arrivati su, ci tenevano e ci attaccavano con le corde ai polsi, dolore assurdo, arrivavamo a un punto che supplicavamo, ma mi sono divertito veramente e non mi sono pentito di niente. Anzi. Poi, come tu mi insegni, tutto passa, loro si sono divisi e tutto è finito. L'ultima volta che ho li ho visti credo fosse il 2012, ma se organizzassero una rimpatriata io ci andrei».

Penso alle miriadi di scene che ha girato, ai tempi lunghissimi e a immagini che al sol pensarci un brivido mi percorre la schiena, chissà quali sono quelle che gli hanno lasciato un segno, «Ah... dovrei parlare per ore - dice Miranda - ma di certo ce ne sono un paio memorabili, quella che mi ha imbarazzato di più è stata quella in cui in mutande, facevo un buco per terra e dovevo simulare un rapporto sessuale, ecco lì mi imbarazzai e non poco, ma poi fu divertente, diventò normale amministrazione. Oppure quella della masturbazione collettiva, una scena raccapricciante ma che risate ci siamo fatti, forse sono cose che non si devono dire ma quelle sono.

Anche quando abbiamo fatto "Totò che visse due volte", ridevamo in continuazione, io tutt'ora se lo vedo non riesco a trattenermi dalle risate e se devo essere sincero tra i tre episodi mi piace l'ultimo, lo trovo insuperabile. Il mio era bellissimo ma meno comico ma quello di Totò Guttadauro era insuperabile.

A volte per strada si fermava qualcuno e mi diceva "Marcello, una cosa, ma chi bulete rire, non l'ho capito" e io gli dicevo "Riccilo u regista!" e giù a ridere. Ero giovane avevo una trentina d'anni».

Poi un velo di malinconia appare sui suoi occhi, «E c'è un'altra scena, che ricordo fu molto lunga. Nello Zio di Brooklyn, brindavo solo alla mezzanotte di capodanno. Dovevo stare lì, immobile. Maresco voleva fare emergere che si può essere felici anche nella solitudine, nella povertà. Io non lo penso però»

Con un filo di malinconia ricorda i suoi compagni di viaggio, Gimondi, Francesco Tirone, Pietro e Carlo Giordano, Giuseppe Paviglianiti a cui voleva molto bene. La maggior parte non ci sono più, «Io sono uno dei pochi superstiti. Una volta ci parlarono di una "maledizione", e io in quell'occasione mi sono toccato… scusando la frase, menomale, forse mi salvai per questo…».

Eccolo lì, il Terribile Rocco Cane, che ogni tanto prende il sopravvento.

Nel tempo ha lasciato spazio ai ricordi e a qualche rimpianto, «Ci ho pensato a intraprendere la carriera dell'attore, andai anche a Roma ma i meccanismi erano diversi e io ero considerto “cosa” di Maresco, anche a Palermo, e insomma lavorare non era semplice. A Roma, mi hanno detto che dovevo trasferirmi lì e io non potevo, a Palermo non c’era nulla per chi voleva fare cinema, e quando provai a fare qualcosa in tv, mi accorsi che c'erano indvidie e mi venne detto "Tu lavori con Maresco, o con lui o con me».

Se avesse proseguito la carriera di attore avrebbe voluto fare il comico, «non il poliziotto, non il mafioso, queste cose non mi piacciono - mi rivela -, il comico, quello sì, recitare in una commedia. Ovviamente con belle ragazze!». aggiunge ridendo.

Oggi Marcello Miranda non lavora, vive con il "piccolo reddito" come lo chiama lui. Si è sempre arrangiato facedo tanti lavoretti, anche il fruttivendolo.

Nella sua vita non ha avuto spazio per l'amore, o meglio, non lo ha trovato. In realtà solo una volta, si era innamorato di Mirella, calabrese conosciuta a Palermo, «che quasi quasi me ne ero innamorato solo che faceva "A vita" e quindi non potè essere».

Gli chiedo se gli piacerebbe oggi fare qualcosa nel cinema o per la tv, e la risposta è un sì ma non convinto. Non capisco, insisto e si apre un po' «Vorrebbe dire mettermi alla prova recitando, interpretando un personaggio intendo. Certo sarebbe un grande impegno, un conto è improvvisare, a braccio senza un copione, un conto è imparere un copione, seguire delle indicazioni precise...».

Mi permetto di dire la mia e gli dico che improvvisare non è per nulla facile, e che l’improvvisazione è un'arte e se non è una dote che hai, è una cosa che si studia tanto è difficile. Sarebbe una bella sfida.

Lui sorride. Non ci aveva mai pensato. In realtà nessuno gliel’ha mai detto, nessuno lo hai mai fatto sentire “bravo”.

«Ho 63 anni, a ottobre saranno 64, ne dimostro di meno, dicono loro (...), non mi vanto di niente io eh. Ma lei pensa che a questa età mi prenderebbero? E che di tutti gli attori che esistono lei pensa che chiamerebbero me?»

«Certamente!» avrebbe risposto Paviglianiti.

Sulla scia delle infinite possibilità, gli chiedo se ha un sogno nel cassetto. «Glielo posso dire? Sicuro?» mi chiede. «Certo», rispondo. E me lo svela, compiaciuto e padrone di ogni singola cosa che mi sta dicendo. Ovviamente ci facciamo anche due risate.

Ma qual è non ve lo posso dire, mi ha fatto promettere di non scriverlo.
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