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Lo chiamano 'A casa cù n'occhiu: l'ex carcere di Siracusa, dove i detenuti venivano davvero rieducati

Si presentava come una sorta di "Grande Fratello" che permetteva, attraverso accorgimenti architettonici, l'osservazione di tutti i prigionieri da qualunque punto del cortile

  • 27 giugno 2021

Il Carcere Borbonico di Siracusa

A due passi dall'affollato e caratteristico mercato rionale di Ortigia, la splendida isoletta che corrisponde al centro storico di Siracusa, sorge un'immensa, austera e suggestiva struttura architettonica oggi purtroppo abbandonata: è il carcere borbonico.

Sito lungo l'antica Mastrarua, oggi quello di via Vittorio Veneto, è in realtà un ex carcere perché reso inagibile dal cosiddetto "terremoto di Santa Lucia" del 1990, avvenuto proprio la notte del 13 dicembre.

Le porte del penitenziario si chiusero definitivamente nel 1991, pochi mesi dopo il terremoto, in seguito ad alcuni sopralluoghi che rivelarono delle lesioni strutturali.

A questo si aggiungono notizie di cronaca recente, ovvero il sequestro preventivo dell'edificio monumentale avvenuto nel febbraio 2021, ad opera dei carabinieri del Comando per la Tutela del patrimonio culturale su disposizione della procura.

Torniamo alla storia.

All'inizio dell'800 l'insufficienza di locali per contenere un grande numero di detenuti rese necessaria la costruzione di un carcere a Siracusa. Il Governo Borbonico era orientato alla costruzione di Carceri Centrali in tutto il Regno delle Due Sicilie, poiché si diffondevano i movimenti rivoluzionari con aumento di persone che erano portate a delinquere.
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L'ingegnere Alì ricevette l’incarico di progettare la costruzione nel 1827, ma passarono 26 anni prima che si desse inizio ai lavori perché ci furono eventi infausti che rallentarono l’esecuzione degli stessi.

Nel 1849 l’incarico di seguire i lavori passò all’ingegnere Luigi Spagna che redasse un nuovo progetto, partendo comunque da quello dell’Alì, e lo completò nel 1854. L’edificio poteva ospitare 250 detenuti e la prima volta che varcarono la soglia dell'ex carcere borbonico di Siracusa fu nel 1856, in pieno Regno delle Due Sicilie, cinque anni prima dell'unificazione italiana.

Il carcere si innalza su due livelli oltre al piano terra per un’altezza totale di 25 metri e la pianta è un rettangolo con lati di 40×45 metri.

A questa conformazione esterna non corrisponde però quella del cortile interno: esso infatti ha una forma poligonale, un ottagono per l’esattezza, con una torre di guardia al centro. Grazie a tale inaspettata struttura quasi circolare, il guardiano poteva sempre controllare i detenuti senza far notare loro di essere osservati.

Infatti l'edificio fu concepito secondo i moderni dettami del paradigma carcerario ideato dal filosofo e giurista inglese Jeremy Bentham nel 1787, il modello "Panottico" (dal greco 'pan' e 'optikos', "tutto vede").

Si presentava, cioè, come una sorta di "Grande Fratello" ben prima della elaborazione letteraria di George Orwell: permetteva, attraverso particolari accorgimenti architettonici e tecnologici, l'osservazione di tutti i prigionieri da qualunque punto del cortile, di forma ottagonale.

L'edificio è quindi costruito dall'interno verso l'sterno e il modello del Panopticon, il cui nome deriva dal mostro della mitologia greca Argo Panoptes, cioè “tutto occhi” (il famoso gigante dotato di un centinaio di occhi), prevedeva che le celle, disposte circolarmente lungo il perimetro interno e su più piani, avessero un’apertura verso la torretta centrale consentendo al guardiano un controllo costante e impedendo in ogni momento ai reclusi di comunicare tra loro, non sapendo se fossero osservati o meno.

Questa particolare conformazione poligonale permetteva alle guardie di controllare la situazione interna in un sol colpo d’occhio e di non lasciar trasparire nulla all’esterno, che ricalcava la tradizionale forma rettangolare.

Non a caso nella facciata principale dell’edificio, nella chiave di volta dell’arco d'ingresso, fu scolpito un occhio in rilievo dentro una piramide, noto come “occhio della provvidenza” o “che tutto vede” e per questo motivo l’edificio è conosciuto dai siracusani come ’a casa cù n'occhiu (la casa con un occhio).

Non è stata lasciata alcuna spiegazione precisa per interpretare questo simbolo e a riguardo vi sono tre ipotesi.

La prima riguarda la presenza del tribunale all'interno dell'istituto, prima di essere trasferito altrove, per cui simboleggia l'occhio vigile della giustizia.

La seconda è che si tratti dell'occhio del detenuto che guarda la libertà, tra l’altro il prospetto principale del carcere affaccia sul mare aperto.

La terza ipotesi riporta alla raffigurazione dell’occhio apotropaico-scaramantico che troviamo anche sul buzzetto siracusano (o “gozzo”, tipica imbarcazione dei pescatori locali), fatto dipingere dai pescatori-marinai a protezione dalla loro incolumità.

L'ex carcere borbonico di Siracusa è un esempio del lampo riformista nell'epoca di Ferdinando I di Borbone (decreto sulle carceri emesso nel 1817), che diede vita anche a quello che utopisticamente sarebbe dovuto essere il progetto dell'Ucciardone di Palermo.

Questo carcere fu, dunque, uno dei più moderni ed evoluti d’Europa e mostra quanto la Siracusa borbonica fosse all’avanguardia. Al suo interno infatti i detenuti non erano inattivi, ma venivano impiegati per lavori commissionati dall’esterno e la pena assumeva così un valore redentore e una certa utilità, secondo le nuove ideologie diffuse da vari trattati. I prigionieri dovevano essere rieducati e curati, qualora fosse stato necessario.

La prima fisionomia rispecchiava l’idea di un carcere rigido ed inflessibile che rieducava con il lavoro interno e la pratica del culto. C’erano anche due cappelle (una per gli uomini e l’altra per le donne), locali adibiti per il lavoro dei detenuti, aule scolastiche, lavanderie, docce e bagni. I detenuti lavoravano prevalentemente alla fabbricazione di cappelli di paglia.

Si scopre così che non solo i "famigerati Borboni" avevano un regime penitenziale fra i meno disumani d'Europa, ma che progettarono, prima d'ogni altro Stato europeo, una riforma in tal campo che tenesse conto delle esigenze elementari dei carcerati e della necessità di educarli, al fine di permettere loro di iniziare una nuova vita una volta espiata la pena.

L’edificio fu anche al centro di un caso internazionale, culminato con lo scontro tra gli Stati Uniti e l'Italia, a seguito del sequestro e dirottamento della nave da crociera Achille Lauro tra il 7 ed il 9 ottobre del 1986.

I quattro terroristi, responsabili della morte di un cittadino americano, vi furono detenuti e controllati a vista da dieci agenti ciascuno. La struttura purtroppo da diversi decenni versa in un gravissimo e vergognoso stato di abbandono, la sua rivalutazione sarebbe auspicabile per il rilievo storico-architettonico e per la sua posizione, nel cuore di Ortigia.

Curiosità: Come in molte altre storie il destino appare uguale per l’inizio e per la fine. Infatti il carcere è sorto nella stessa area del Castello di Casanova del periodo arabo-normanno e parzialmente adibito a carcere, demolito dal disastroso terremoto del 1693.
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