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“Mishelle di Sant’Oliva”, schermaglie d’amore

  • 24 ottobre 2005

Un filo, il filo sottile ma tenace dell’amore, ancor più resistente quando si tratta di sentimenti nell’ambito familiare, quegli affetti viscerali che quando offesi conducono a scoramenti profondi. Un filo, quello della mattola, che quando finisce lascia gesti condizionati ancora in essere, come l’amore appunto, che si manifesta nonostante tutto, anche se non vogliamo, anche se ripugna essere legati a qualcuno la cui natura ci offende. È così che si apre lo spettacolo, una bella prova d’amore, una schermaglia d’amore, questo “Mishelle di Sant’Oliva”, ultimo lavoro di Emma Dante, visto il 18 ottobre (con replica il 19) nell’ambito del Palermo Teatro Festival, al Nuovo Montevergini, magico spazio ritrovato di una Palermo sempre più bella, con Giorgio Li Bassi e Francesco Guida, prodotto da Sud Costa Occidentale, in collaborazione con il Festival delle Colline Torinesi, anche luogo nel quale lo spettacolo ha debuttato nel giugno 2005. Un padre, Giorgio Li bassi, che aspetta, in un vaneggiamento continuo sospeso fra la voglia di morire e il desiderio di rivedere la bella moglie francese che lo ha lasciato, ed un figlio, tozzo e pesante bella di notte, che insiste con le sue profferte d’amore filiale verso quel padre che da tempo ormai lo rifiuta. Questa intensa pièce segna un’evoluzione nel teatro della regista palermitana che qui ha ricercato, trovandola con successo, una modalità espressiva perfettamente consona ai suoi nuovi attori, in particolare a Giorgio Li bassi. «Avendo un attore diverso dai giovani con i quali ho sempre lavorato, necessariamente il mio linguaggio teatrale doveva cambiare» afferma la Dante.

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E la sua nota abilità nel dirigere gli attori, qui raggiunge vertici altissimi, donandoci un fenomeno della scena, peraltro alla sua prima esperienza teatrale, l’esplosivo, e straripante in ogni senso, Francesco Guida e un altrettanto bravo Giorgio Li bassi, capace di raccontarsi con una danza inebriante, sensuale, vitale oltre ogni dire, carica di quella energia di fronte alla quale è difficile resistere, capace di piegare alla resa ogni animo, anche il più insensibile. Quella di Li bassi è la forza dell’arte che viene dalla strada, dal popolo, quella linfa vitale che solo chi conosce la realtà vera dei sud di tutto il mondo, possiede. Se il testo accade che possa talvolta cadere nello scontato e nella battuta facile, tutto il lavoro, pur nella sua brevità, offre momenti molto incisivi. La profondità della regista, che qui si misura con una parola predominante rispetto al movimento, fatto per lei nuovo, rivela un’attenzione rivolta più all’essenza che alla spettacolarità, dove la fisicità, il linguaggio peculiare al quale ci aveva abituati, cede il posto, e con risultati notevoli, alla forza dell’emozione. E un altro riconoscimento vogliamo muovere all’artista e cioè in merito al suo coraggio nel sondare e cercare nuovi linguaggi, nel raccontare mondi scomodi e cupi ed il tutto sempre con un vigore ed una forza espressiva difficilmente ritrovabili altrove nel panorama del teatro contemporaneo internazionale. La giustezza delle scelte musicali, molto pertinenti alla narrazione scenica, come sempre nei lavori della Dante, completa l’abbraccio nel quale lo spettatore si ritrova insieme con i due attori alla conclusione dello spettacolo. E allora appare chiaro come, sin dall'inizio, il lavoro tenda verso questo ritrovarsi, un abbraccio che, oltre ad unire i due sulla scena, possa metaforicamente coinvolgere tutto il mondo, oggi forse più straziato che mai per la vana consapevolezza che alberga nei cuori di noi piccoli uomini.

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