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Una gitarella fuori porta: il menu dei "Totucci"

  • 21 aprile 2006

Riporta il P3, etnologo di chiara fama e fondatore di una delle sette massoniche più potenti, nel suo volume “La famiglia allargata: le adozioni ante-litteram e l’appartenenza al gruppo”, che la famiglia sia il valore fondamentale attorno a cui ruota la società e l’economia siciliana. L’importanza dell’identificazione emerge dalla prima domanda che ci si rivolge perfino in chiesa, durante lo scambio del gesto di pace “Ma tu a cu appaittieni?” intendendo comprendere la liceità del saluto. La famiglia tipo è composta dai nonni, figli con consorti e nipoti, vicini di casa, cugini dei nonni, e ziani, persone di rispetto, in genere ultraottantenni, elementi decorativi indispensabili per colorire visivamente le feste, non manca mai qualche amico di passaggio che si ferma a cena o a prendere il caffè.

La visceralità dei rapporti si riscontra sia nelle scelte importanti come l’educazione filiale, sia nella gestione della casa o nell’organizzazione delle feste, delle gite. Ognuno ha un ruolo definito a seconda del sesso, dell’età, del lavoro, delle attitudini. Le donne si riuniscono con largo anticipo per decidere il menù della gita, che deve essere trasportabile, buono anche freddo e abbondante. Per prima cosa gli antipasti, che non sono della nostra tradizione, ma che si sono diffusi con grande facilità, unni c’è manciari, cci semu nuavutri. Cominciamo cu saidde a beccafico e allinguate, portate da Mary, che fa l’"astetista" e non c’ha mai tempo, poi il grattòn – la desinenza finale è una raffinatezza recente - di Jenny, che lo fa a regola d’arte, con le patate scacciate e in mezzo i milinciane fritte, fette di tuma, caciocavallo grattugiato e ciappe, pomodori secchi molto saporiti. Alla zia Cettina è affidato il compito di preparare la caponata, suo marito è sensale a Castelvetrano e di alive n’hanno a tinghitè. A nonna Carmela spetta l’onere maggiore, il piatto a cui nessuna famiglia può rinunciare se va in gita, una delle pietanze per cui anche Santa Rosalia, il giorno del Festino, scenderebbe dal carro, nonostante il caldo, dicendo “Dunque a vulemu finire cu sti truna ca vi purtastivu u cirivieddu? A vulemu fari na cosuzza miegghiu? Amu a manciari na bella tigghia!” La pasta col forno, il timballo di anelletti al forno, cu raù, mollica e caciocavallo.
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Gli uomini hanno compiti esterni: devono comprare la carne, salsiccia col finocchietto e crasto, le ‘mbibbite, i bbirre e a cuoca cola, tenute agghiacciate dalle innumerevoli borse termiche, che sfileranno sotto i portabagagli, vicino al tavolo scomponibile, montato ad hoc, come punto di appoggio per i numerosi vassoi, accanto la brace. Devono anche pensare ai dolci, mignon o biscotti "regginelle", piatti, bicchiera, tovaglioli di fine prastica e qualche finocchio per lo sgrascio finale.
L’unica camurria, vero ostacolo al buon andamento della gita è il trafico. Per aggirare il problema si parte all’alba, praticamente cu scuro, così si occupano i posti migliori sul suolo pubblico. Una lotta per la sopravvivenza. Appuntamento in qualche bar verso le sette e poi via verso le amene località. I picciriddi, dopo un breve momento di abbattimento, riprendono le forze e quindi vengono legati al sedile e imbavagliati per la protezione dell’ultimo apparecchio acustico dello zio Nenè, distrutto da un acuto di Ivan, figlio di Mary, durante un accesso di rabbia per il rifiuto paterno di comprare un altro bazooka ad acqua, uguale a quello sequestrato dalla maestra, dopo l’allagamento del cassetto con il registro e i compiti in classe.

La giornata passa tra arrustute e salvataggi in extremis dei bambini appesi al ramo rotto dell’albero, tra ossa lanciate ai cani e ripresentate a tavola a mo’ di trofeo dagli infanti, disinfezioni delle ferite di guerra dei futuri Power Rangers. Verso le diciassette si chiude putia, lasciando un segno della gioia vissuta: un colorato vivaio di sacchetti che torreggiano in mezzo alla natura incontaminata. Alle venti e trenta tutti davanti al televisore per la finalissima della gara di abballo fra “amici”. E vediamo chi niesce!

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