"Zoo", l'ossessione di una scrittura di rivolta
Chiusi in una gabbia che è la loro vita, i tre protagonisti sono un padre, una madre e una figlia senza nome, estremi nell’esternare i loro bisogni e le loro debolezze, in un gioco perverso che arranca nel voler apparire amore. Un amore che è morboso e a tratti perverso, una musica costante e ossessiva che diventa assenza di alcun punto di riferimento - qualcuno dei presenti dirà di morale - ma sarà presto controbattuto dall’autrice con la bella frase controcorrente: «Cos’è la morale?». Tra ricordi altalenanti, il lettore sembra essere trascinato nella mente di questa ragazza che racconta il suo mondo da dietro le sbarre di un’esistenza in prigionia; dall’infanzia all’adolescenza alla giovinezza, il percorso seguito è del tutto periferico ed estraneo da quello dei suoi coetanei, da quello della vita che molti pensano possa essere uguale per tutti. Per la prima volta alle prese con una storia realmente accaduta, Isabella racconta quanto siano stati difficili i dieci mesi di buio in cui ha deciso di dar vita a questa «verità», di buio perché il libro è stato “concepito” interamente di notte, dopo aver atteso che si spegnessero le ultime televisioni degli appartamenti vicini, e la scrittrice sottolinea la fatica soprattutto mentale di diventare la protagonista , ovvero quella figlia, la ragazza da cui ha appreso questa storia, di tradurne le emozioni: «E’ un libro che ho scritto senza colonna sonora, non ci sono riuscita, ho scritto per la prima volta un libro nel silenzio, e la voce della protagonista è diventata la mia musica». L’autrice ha una maschera ma non copre gli occhi, e dietro quell’armatura in nero c’è una tale pacata dolcezza che spiazza chi teme che il personaggio voglia prevalere su tutto, anche se il dubbio resta e va concesso. E quando inevitabile arriva la domanda sul perché ci si abbigli in questo modo con tanto di volto semicoperto la risposta è: «Perché la realtà così com’è non mi piace».
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