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Quando in Sicilia arrivarono le neviere: l'industria del freddo per il cibo "del popolo"

D'estate nobili e borghesi offrivano granatine e sorbetti ma con le fabbriche del ghiaccio anche gli "altri" poterono mangiare gelati e conservare gli alimenti

Marco Giammona
Docente, ricercatore e saggista
  • 28 gennaio 2023

la neviera "Principessa"

Ce n'è voluto di tempo perché l'uomo trovasse anche nel “nemico” freddo un alleato, nella neve una "amica", un valido aiuto ai suoi bisogni. Ma il passaggio dal mero fenomeno meteorologico allo sfruttamento industriale del freddo avverrà molto lentamente.

La produzione di neve da utilizzare come ghiaccio nei mesi estivi, è documentata in Sicilia fin dall'XI secolo.

Soprattutto nei salotti della nobiltà e dell’alta borghesia siciliana di fine '800 era costume soprattutto nella stagione estiva offrire ai propri ospiti "granatine e sorbetti". Erano una prelibatezza riservata a pochi eletti a causa della difficile reperibilità all’epoca della materia prima di cui erano fatti, e cioè il ghiaccio.

Con il tempo crebbe la richiesta di neve ghiacciata da parte degli abitanti di paesi e città dell’Isola, avidi di soddisfare i palati arsi dalla calura estiva siciliana e così nacquero le neviere, delle vere e proprie imprese commerciali che si occupavano sia della produzione che della consegna diretta di questo ormai indispensabile articolo: il ghiaccio.
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La neve caduta in inverno si conservava in apposite cavità, si compattava e la si faceva solidificare. Con tutti gli accorgimenti del caso, la si trasportava e vendeva per necessità di refrigerazione e preparazione di granite o gelati.

Le Neviere venivano realizzate in apposite depressioni montane dove si accumulava la neve caduta, come nel caso di Rocca Busambra, Etna o nel rilievo della Pizzuta.

Per solidificarla e trasformarla in ghiaccio, veniva compattata battendola con delle pale fino a creare uno strato spesso che infine veniva coperto con fieno e foglie di felci e rivestito con uno strato di terra per mantenerne l’isolamento termico.

Con questa tecnica si riusciva a conservare il ghiaccio fino all’estate per poi estrarlo giornalmente ed essere trasportato nelle città con muli o carretti.

Le cosiddette "balate" di ghiaccio, blocchi da 120 a 150 kg, arrivavano a destinazione avvolte in sacchi di iuta che ne garantivano l’integrità. Ci vorrà del tempo ancora, fine '800 inizi '900, perché le neviere fossero soppiantate dalla produzione a livello industriale del ghiaccio.

Anche Misilmeri, in provincia di Palermo, ebbe la sua fabbrica del ghiaccio, ad impiantarla fu Vincenzo Traina nel 1923.

La stabilimento si trovava sulla Piazza Comitato 1860, all’interno vi erano appositi stampi immersi in un enorme vasca dove circolava una soluzione salina raffreddata da compressori che facevano funzionare serpentine in cui scorreva un gas liquefatto, di solito l'ammoniaca.

Così si ottenevano dei parallelepipedi detti "balle" delle dimensioni di cm 25x25, lunghe un metro, del peso di circa 25 chilogrammi.

Fabbricare del buon ghiaccio non era semplice: esso doveva essere compatto e poco fragile, cristallino e non opaco.

Il prezzo, infatti, variava in base alla qualità prodotta. Importante era poi la fase di congelamento, bisognava procedere dalla parte esterna a quella interna, la diversa temperatura nei singoli strati determinava dilatazioni differenziate che producevano tensioni e talvolta fenditure.

Era quindi necessaria un'uniforme distribuzione del freddo e la gradualità dell'abbassamento della temperatura, oltre l'agitazione dell'acqua per eliminare l'aria, principale responsabile dell'opacità.

Delicata era anche l'estrazione ed il trasporto dei blocchi di ghiaccio, in quanto il passaggio repentino ad una temperatura più alta provocava rotture tra strati esterni ed interni.

La neve ghiacciata e poi lo stesso ghiaccio trovavano uso per la conservazione degli alimenti, in particolare durante i mesi più caldi, nelle macellerie e nei bar misilmeresi dove si produceva gelato e granite artigianali.

Anche qui il ghiaccio aveva una importante funzione, infatti serviva oltre che a preparare il gelato, anche per mantenerlo alla giusta temperatura e conservarne la consistenza per tutta la giornata.

La comparsa, nel secondo dopoguerra, dei primi frigoriferi in concomitanza con il boom economico, provocò la crisi, prima, e la chiusura dello stabilimento Traina negli anni Sessanta poi, successivamente trasformato in palazzina e divenuto sede di un istituto bancario, mettendo così fine al ciclo produttivo e commerciale del ghiaccio a Misilmeri.
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