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L'unica nebbia che conosciamo a Palermo: il fumo della brace il giorno di Pasquetta

Quando si alza in cielo è come la fumata bianca per l’elezione del nuovo pontefice: habemus stigghiolam. Per noi palermitani, l’arrostuta è una cosa seria

  • 22 aprile 2019

Parliamoci chiaro. Tutti noi abbiamo un gruppo whatsapp denominato: pasquetta o arrostuta. Da quando ho più o meno ho l’età di 15 anni, la Quaresima si espia attraverso l’organizzazione di questo evento. Per noi palermitani, l’arrostuta è una cosa seria.

È l’unica nebbia che conosciamo. Quando si alza in cielo è come la fumata bianca per l’elezione del nuovo pontefice: habemus stigghiolam.

Non è un semplice barbecue o una grigliata di carne. La chiamiamo arrostuta proprio per identificare tutto quello che si cela dietro questa: dalla sua organizzazione alla sua conclusione.

Per noi, ogni giorno è buono per fare una arrostuta. Questo periodo dell’anno però è un vero e proprio trium virato dell’arrostuta: pasquetta, 25 aprile e primo maggio.

Chiaramente la Pasquetta è l’emblema dell’arrostuta, proprio perché è quella che apre la stagione. Quella che aspettiamo con tanto ardore dopo un lungo inverno, quella che letteralmente apre le danze. La pasquetta è un po’ come il Capodanno del periodo natalizio: la passi con chi vuoi. Ma è anche il Santo Stefano, perché non importa cosa tu abbia mangiato il 24 ed il giorno di natale, il 26 dicembre si continua a mangiare comunque.
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Così come in aeroporto i palermitani si riconoscono sempre, lo stesso è a dirsi per l’organizzazione dell’arrostuta. Ci sono dei rituali da rispettare, delle procedure da seguire pedissequamente, delle abitudini impossibili da sradicare.

Anzitutto, la ricerca del luogo più adatto. Deve essere un luogo consono ad arrostire, dunque serve una brace capace di ospitare 4 kg di carne ed uno spazio consono che per ospitare la pennichella post pranzo dei commensali, necessariamente al sole. Non importa che sia un villino semi abbandonato, una villa con piscina o il bosco della favorita. Conta solo una cosa: la griglia.

Una volta scelto il luogo in cui dovrà tenersi il grande evento, lo step immediatamente successivo: la spesa.

Questo è forse uno dei momenti più delicati dell’arrostuta e sul punto vi sono due tipologie di soggetti: quelli che si offrono sempre per farla – nonostante ogni anno si ripromettano di non farla mai più - e quelli che si tirano sempre indietro, lasciando fare lo sporco lavoro agli altri.

La scelta della carne da comprare è sempre molto ardua. Di norma si va sul classico: salsiccia, puntine e stigghiola.

Ma c’è sempre chi vuol far l’americano e richiede l’hamburger o l’amico a dieta che preferisce la carne di pollo. Per non parlare della disgrazia di avere un amico vegetariano. Non me ne vogliano gli appartenenti a questa categoria, ma l’arrostuta, non è il posto adatto a voi.

Un solo vegetale è ammesso durante l’arrostuta, il patron di ogni pasquetta che si rispetti: sua maestà il carciofo. Il “cacocciolo” è elemento essenziale di ogni Pasquetta che si rispetti.

Acqua, birra, cocacola e vino come se piovessero. Tutto pronto, la spesa è fatta, il menù è concordato ed ecco che arriva il giorno tanto atteso. L’arrostuta, ti mette sempre di buon umore. Arrivi sul posto, alle 12.30/13.00 ed inizia la divisione dei ruoli e le relative strategie di gioco.

L’unico vero eroe dell’evento è uno soltanto: l’addetto alla griglia.

In abbigliamento da spartano e con il suo forchettone in mano è sicuramente il Leonida dei 300 guerrieri di Sparta. Colui il quale dedica una totale dedizione alla griglia da non staccarsi da lì neanche sotto tortura, colui che è disposto a non mangiare per fare la brace perfetta. È il soggetto che va incontro alle esigenze di tutti: chi la vuole cotta e chi la vuole cruda. Letteralmente.

Nel frattempo ci sarà chi pulisce i carciofi, chi apparecchia, chi sostiene l’addetto alla griglia osservandolo e dirigendo i lavori, chi mette la musica, chi si sente legittimato a non far nulla, perché ha fatto la spesa.

La fase numero due della pasquetta: la caccia. Si perché l’arrostuta, non è un pranzo come gli altri, ma una vera e propria affermazione di supremazia, una sorta di legge della natura: il più forte mangia, tutti gli altri restano digiuni.

Allora ecco avvicinarsi il primo mammifero alla griglia, ha già annusato la sua preda ed è disposto a tutto per averla. Attende con finta indifferenza la discesa della carne dai carboni ardenti e …zac, con un gesto felino ha già divorato la sua vittima.

Per gli altri non resta che attendere. Infine, i dolci. Nessuno ha pensato ai dolci. Spesso e volentieri infatti è talmente tanta la foga dell’arrostuta che si pensa solo alla carne e non ai dolci. È così che una raccolta fondi collettiva, unitamente al temerario personaggio disposto a prendere l’auto, risolve il problema.

Dopo i dolci, di norma, arriva l’abbiocco post pranzo, ritorna la quiete o al massimo qualche immancabile gavettone (ormai esclusiva degli over 2000).

Ma è così che alle 17.00/18.00 quasi come per magia, spuntano i carciofi, depositati sulla carbonella dormiente, da qualche d’uno che al carciofo ci tiene particolarmente ed è così che si riaccende l’appetito e come tanti scoiattoli tutti cominciano, quasi fosse un passatempo, ad assaporare ogni foglia del carciofo.

Si ricomincia. Come un circolo vizioso, tanto che, gli arrostuta addicted, riaccenderanno la carbonella e si attiveranno per la cena.

Chiaramente queste abitudini andranno a scemare con l’avanzare dell’età ma, in cuor mio, spero che la forza dell’arrostuta rimanga sempre con me.
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