"Caudu e fridu": l'opera di Massimo Bartolini pensata per gli spazi di Palazzo Oneto
La grande installazione che invade gli spazi del salone di Palazzo Oneto
Nell’ambito degli eventi collaterali della Biennale "Manifesta 12" (visualizza l'articolo di approfondimento), Palazzo Oneto, costruito verso la fine del XVII secolo, riapre al pubblico in occasione dell’opera site-specific di Massimo Bartolini.
Il caldo e il freddo del titolo della mostra curata da Claudia Gioia, sono estratti da un graffito ritrovato sulle pareti delle celle di Palazzo Chiaramonte Steri che ospitò dal 1600 al 1782 il tribunale dell’Inquisizione e fa riferimento alle febbri terzane che colpivano i detenuti.
Queste scritte, tracciate con mezzi di fortuna e talvolta situate in punti non visibili alle guardie, nel lavoro di Bartolini assumono un ruolo e un aspetto opposto: quello di una scritta al neon rosso, che si staglia sulla parete come un urlo fragoroso che viene dal silenzio, come un’insegna che esplode nella notte.
In un continuo gioco di opposizioni e ossimori, alla scritta si contrappone la grande installazione che invade gli spazi del salone di Palazzo Oneto: una serie di luminarie tipiche delle feste siciliane, dopo essere state spente e disposte nello spazio come se si ritirassero dopo la festa - quasi a cancellare l’architettura che le ospita - da oggetto pubblico diventano un oggetto privato che, dimenticato il caos delle strade, si offre allo sguardo silenzioso degli spettatori.
A dialogare con la caotica e barocca sovrapposizione delle luminarie sono gli elementi che compongono l’apparato decorativo del palazzo: complesse composizioni in stucco sulla tradizione degli oratori del Serpotta e sontuosi affreschi tipici di una abitazione settecentesca.
Il caldo e il freddo del titolo della mostra curata da Claudia Gioia, sono estratti da un graffito ritrovato sulle pareti delle celle di Palazzo Chiaramonte Steri che ospitò dal 1600 al 1782 il tribunale dell’Inquisizione e fa riferimento alle febbri terzane che colpivano i detenuti.
Queste scritte, tracciate con mezzi di fortuna e talvolta situate in punti non visibili alle guardie, nel lavoro di Bartolini assumono un ruolo e un aspetto opposto: quello di una scritta al neon rosso, che si staglia sulla parete come un urlo fragoroso che viene dal silenzio, come un’insegna che esplode nella notte.
In un continuo gioco di opposizioni e ossimori, alla scritta si contrappone la grande installazione che invade gli spazi del salone di Palazzo Oneto: una serie di luminarie tipiche delle feste siciliane, dopo essere state spente e disposte nello spazio come se si ritirassero dopo la festa - quasi a cancellare l’architettura che le ospita - da oggetto pubblico diventano un oggetto privato che, dimenticato il caos delle strade, si offre allo sguardo silenzioso degli spettatori.
A dialogare con la caotica e barocca sovrapposizione delle luminarie sono gli elementi che compongono l’apparato decorativo del palazzo: complesse composizioni in stucco sulla tradizione degli oratori del Serpotta e sontuosi affreschi tipici di una abitazione settecentesca.
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