Le opere di Camilla Ancilotto e Andrea Pacanowski: "Senso" a Palazzo Belmonte Riso
"Non sono l'unica" di Andrea Pacanowski
Dopo l'esposizione nella sede della Fondazione Whitaker, le opere di Ancilotto e Pacanowski trovano una seconda importante collocazione a Palazzo Riso in corso Vittorio Emanuele 365, sede del Museo d’Arte Contemporanea della Sicilia.
Il corpus di opere di Camilla Ancilotto realizzate per la mostra “Senso” consta di quattro sculture interattive ispirate al tema del Kinbaku, l’antica arte della legatura giapponese e sofisticata pratica erotica di XIX secolo. Le opere presentano uno stile assolutamente unico nel panorama artistico contemporaneo: composte da prismi lignei triangolari dipinti sui tre lati e attraversati da un’intelaiatura in acciaio che permette loro di ruotare sul proprio asse, le pitto-sculture si dispiegano allo sguardo del fruitore in una caleidoscopica ibridazione tra essere umano e creature animali.
La sospensione immobile della figura affiora quale sacra icona moderna dal prezioso fondo dorato o argentato: innumerevoli immagini in potenza si offrono alla libera interpretazione dello spettatore, unico artefice dell’immagine ultima, mai definitiva. Il corpo è manipolato con grazia e fantasia: l’apparente “brutalità” della legatura - che diventa sinuoso arabesco sulle membra femminili - si sublima nella grazia del viso, in un atteggiamento di devoto e fiducioso abbandono.
Le 14 fotografie di Andrea Pacanowski scelte per la mostra sono una summa della produzione artistica dell’autore il quale, dal 2008, grazie al suo stile assolutamente originale e innovativo, si è imposto nel contesto delle avanguardie artistiche contemporanee. La libera sperimentazione è alla base della sua poetica: immagini pittoriche tridimensionali sono il risultato di un lento operare anteriore alla ripresa.
Donne fiorite, volti liquidi, lineamenti che si disfano, suggestioni erotiche, atmosfere rarefatte, solitudini esposte: la selezione delle “foto-pitture” ha il suo punto di forza nell’indeterminatezza, tratto che connota tutte le immagini. Le immagini stampate - quasi tele - suggeriscono una dimensione onirica, l’apparizione unica di una lontananza vagheggiata in cui vanno in scena, sublimati, i moti umani del desiderio.
Il corpus di opere di Camilla Ancilotto realizzate per la mostra “Senso” consta di quattro sculture interattive ispirate al tema del Kinbaku, l’antica arte della legatura giapponese e sofisticata pratica erotica di XIX secolo. Le opere presentano uno stile assolutamente unico nel panorama artistico contemporaneo: composte da prismi lignei triangolari dipinti sui tre lati e attraversati da un’intelaiatura in acciaio che permette loro di ruotare sul proprio asse, le pitto-sculture si dispiegano allo sguardo del fruitore in una caleidoscopica ibridazione tra essere umano e creature animali.
La sospensione immobile della figura affiora quale sacra icona moderna dal prezioso fondo dorato o argentato: innumerevoli immagini in potenza si offrono alla libera interpretazione dello spettatore, unico artefice dell’immagine ultima, mai definitiva. Il corpo è manipolato con grazia e fantasia: l’apparente “brutalità” della legatura - che diventa sinuoso arabesco sulle membra femminili - si sublima nella grazia del viso, in un atteggiamento di devoto e fiducioso abbandono.
Le 14 fotografie di Andrea Pacanowski scelte per la mostra sono una summa della produzione artistica dell’autore il quale, dal 2008, grazie al suo stile assolutamente originale e innovativo, si è imposto nel contesto delle avanguardie artistiche contemporanee. La libera sperimentazione è alla base della sua poetica: immagini pittoriche tridimensionali sono il risultato di un lento operare anteriore alla ripresa.
Donne fiorite, volti liquidi, lineamenti che si disfano, suggestioni erotiche, atmosfere rarefatte, solitudini esposte: la selezione delle “foto-pitture” ha il suo punto di forza nell’indeterminatezza, tratto che connota tutte le immagini. Le immagini stampate - quasi tele - suggeriscono una dimensione onirica, l’apparizione unica di una lontananza vagheggiata in cui vanno in scena, sublimati, i moti umani del desiderio.
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