Omaggio al capoluogo siciliano: “Contrazioni Panormitane” di Croce Taravella
"Contrazioni Panormitane" è il titolo dell’esposizione che rende omaggio al capoluogo siciliano in una lirica cromatica carica di pathos. Nei rilievi cromatici grondanti di materia e nelle linee graffiate di Croce Taravella sono insite le prefreudiane pulsioni dell’Io, quelle pulsioni latenti, mai del tutto sopite, che tentano di trovare una via di fuga per giungere alla superficie della realtà.
Una linea espressionista altamente metodica, dove il rigore dell’equilibrio figurativo e della prospettiva, dal taglio quasi fotografico, lascia spazio alla voracità dell’indole prettamente mediterranea, dove Palermo diviene protagonista di un romanzo barocco, una nobildonna che si mostra accattivante con la maestà dei suoi edifici, dei suoi luoghi, della sua storia millenaria e, con essa, le ferite inguaribili del decadimento.
Un corpus pittorico dove vige la coesistenza tra la morfologia psicomorfa della carica emotiva e quella meccanomorfa della scarnificazione delle opere, in cui la materia dei suoi colori diviene magma ribollente, pronto a congiungersi con la retina dello spettatore.
Nelle fibre lunghe e fluenti delle cariche cromatiche, strozzate dalle lacerazioni che perimetrano i profili delle architetture, è possibile rintracciare quel tonalismo crepuscolare proprio di J. Ensor e di E. Munch, nella sintesi di tormenti viscerali in cui l’Io cerca di ricongiungersi con l’Universo.
Negli squarci nel buio, nelle ferite aperte di luce, si rintraccia l’iterazione dell’artista con le sue opere grondanti di colore: una luce effimera, corpuscolare, che dona il giusto equilibrio alla consistenza materica dell’opera senza tradirne le origini aeree e vibranti.
Una linea espressionista altamente metodica, dove il rigore dell’equilibrio figurativo e della prospettiva, dal taglio quasi fotografico, lascia spazio alla voracità dell’indole prettamente mediterranea, dove Palermo diviene protagonista di un romanzo barocco, una nobildonna che si mostra accattivante con la maestà dei suoi edifici, dei suoi luoghi, della sua storia millenaria e, con essa, le ferite inguaribili del decadimento.
Un corpus pittorico dove vige la coesistenza tra la morfologia psicomorfa della carica emotiva e quella meccanomorfa della scarnificazione delle opere, in cui la materia dei suoi colori diviene magma ribollente, pronto a congiungersi con la retina dello spettatore.
Nelle fibre lunghe e fluenti delle cariche cromatiche, strozzate dalle lacerazioni che perimetrano i profili delle architetture, è possibile rintracciare quel tonalismo crepuscolare proprio di J. Ensor e di E. Munch, nella sintesi di tormenti viscerali in cui l’Io cerca di ricongiungersi con l’Universo.
Negli squarci nel buio, nelle ferite aperte di luce, si rintraccia l’iterazione dell’artista con le sue opere grondanti di colore: una luce effimera, corpuscolare, che dona il giusto equilibrio alla consistenza materica dell’opera senza tradirne le origini aeree e vibranti.
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