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Quando la denuncia diventa racconto: a Palermo la rivoluzionaria fotografa Susan Meiselas

  • Centro Internazionale di fotografia - Palermo
  • Dal 15 dicembre 2019 al 16 gennaio 2020 (evento concluso)
  • Visitabile dal martedì alla domenica dalle 9.30 alle 18.30. Chiuso il lunedì
  • Gratuito
Balarm
La redazione

Shortie on the Bally. Barton, Vermont (1974) - Susan Meiselas

Sempre in prima linea e in relazione con ogni soggetto, Susan Meiselas (Baltimora, 1948) ha fotografato adolescenti e rivoluzionari, la lotta per i diritti civili, chi resiste alla violenza domestica e il mondo di tante donne di tutte le età. A partire dal reportage sulle Carnival Strippers che gli ha spalancato l'ingresso in Magnum Photos nel 1976. Da allora, il suo approccio rivoluzionario all'esplorazione e documentazione della realtà invita a riflettere.

Il Centro Internazionale di fotografia di Palermo, diretto da Letizia Battaglia, - nell’ambito della programmazione dedicata ai grandi fotografi contemporanei in collaborazione con Magnum Photos, che ha già visto protagonisti Joseph Koudelka e Franco Zecchin - propone la mostra "Intimate strangers", presentando due dei lavori più potenti della pluripremiata autrice. 

In Carnival Strippers, confluisce un lavoro lungo tre estati consecutive, dal 1972 al1975, la Meiselas segue le spogliarelliste delle fiere di paese in New England, Vermont e South Carolina.
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Una documentazione attenta e scrupolosa fatta delle istantanee in bianco e nero non soltanto delle esibizioni sul palcoscenico ma anche dei loro momenti più intimi, alla quali la fotografa affianca le registrazioni audio delle voci delle protagoniste da lei stessa intervistate.

Il risultato è un racconto multimediale che per la sua originalità e profondità segna un punto di svolta nella storia del fotogiornalismo.

Da quel momento il coinvolgimento dei soggetti fotografati attraverso la testimonianza diretta diventa una caratteristica del lavoro di Susan Meiselas, una metodologia d'indagine che costituisce per l'artista non solo una pratica analitica ma anche una forma di impegno civile. 

Risale a vent’anni più tardi, Pandora’s Box (1995) - seconda parte del percorso espositivo - reportage che può considerarsi l'ideale prolungamento di Carnival Strippers. La serie realizzata in un club sadomaso di New York, svela l'esistenza di un altro rapporto con la violenza e il dolore, che qui è cercato e auto-inflitto per scelta.

Pandora’s Box trasporta il visitatore in un luogo esclusivo di 4000 metri quadrati all'interno di un loft di Manhattan, definito la "Disneyland della Dominazione". 

Oscuramente teatrali e allo stesso tempo non studiate, queste fotografie esplorano una rete di stanze opulente e di set di uno storico dungeon newyorkese, dove la protagonista Mistress Raven insieme al suo staff di 14 giovani donne, si esibisce in riti di dolore e piacere fortemente formalizzati.

Mettendo costantemente in discussione le dinamiche della documentazione fotografica con il proprio ruolo di testimone, la fotografa americana ha rivoluzionato l'approccio al reportage. Il suo linguaggio foto giornalistico, ricorrendo a scatti in presa diretta e immagini d'archivio, cambia la prospettiva documentale già nei primi progetti. 

L'importanza della sua fotografia viene notata con il lavoro nelle zone di conflitto dell’America Centrale (1978-1983). I suoi lavori e le sue opere sono spesso di lungo periodo: i soggetti coinvolti e presenti nelle opere, spaziano la gamma degli argomenti da lei affrontati, dalla guerra alle questioni dei diritti umani, dall'identità culturale all'industria del sesso.

Suoi sono i lavori di Carnival Strippers (1976), Nicaragua (1981), Kurdistan: In the Shadow of History (1997), Pandora’s Box (2001), Encounters with the Dani (2003), Prince Street Girls (2016) and A Room Of Their Own (2017).

Susan Meiselas è riconosciuta a livello internazionale soprattutto per i suoi lavori legati ai diritti umani in America Latina, tanto che le sue immagini sono presenti in mostre permanenti sia in America che in tutto il mondo. Nel 1992 viene premiata con il "MacArthur Awardand", nel 2015 il "Guggenheim Fellowship". Di recente è stata anche riconosciuta con il premio "Deutsche Börse Photography Foundation Prize 2019".
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