LE STORIE DI IERI

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Col Viceré a caccia di grilli e di briganti

Fu così che l’11 maggio del 1706 una di tali operazioni “fruttò” la forca, davanti allo Steri, ad un bandito mazarese dalle leggendarie doti atletiche

  • 1 luglio 2004

I frutti più allettanti della primavera qui maturano tra aprile e maggio, come tutti sanno. Ma non è altrettanto noto che nel Settecento le succose raccolte erano precedute e se del caso seguite da diverse altre che invece della frutta riguardavano una lotta senza quartiere a biblici nemici delle colture come erano e restano le cavallette. Combattute già in pieno inverno da personaggi incredibili. Cioè da “insetticidi” ecologici a due gambe che, in esecuzione di precise disposizioni vicereali, dovevano appunto raccogliere prima della “schiusa” la cosiddetta semenza dei grilli. E quando il lavoro di tali specialisti era poi inficiato dai limiti propri degli esseri umani, era la Chiesa ad intervenire. Organizzando, in cambio di denaro sonante, processioni campestri con lo scopo di neutralizzare, tramite solenni “maledizioni dei grilli”, i mille depositi della pericolosa semenza. Con efficacia garantita, secondo gli ispirati cacciatori in tonaca. Che poi le cose non prendessero sempre quel verso lo testimoniava il fatto che quando si potevano già gustare nespole e ciliegie, il senato palerrmitano, con l’approvazione del viceré, qui continuava a “buttare” appositi bandi - uguali ad uno famoso dell’11 maggio 1756, per organizzare disinfestazioni ancora più mirate. Perché con incredibile pazienza venissero tolte di mezzo, una per una, le cavallette che malgrado umane e celesti provvidenze erano nate ugualmente. Con risultati e metodiche immaginabili relativamente ai cacciatori e agli animaletti da inseguire per campi e vigne da mattina a sera.

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Ma c’erano infine “raccolte” ancora più importanti per la pubblica tranquillità che viceré e pretori qui organizzavano tutto l’anno. Le retate di malviventi effettuate con operazioni da settecentesca Interpol. Organizzate tramite intermediari dai torbidi precedenti – nessuna differenza rispetto ad oggi - e in collaborazione con i capi degli stati più o meno grandi della penisola. Fu così che l’11 maggio del 1706 una di tali operazioni “fruttò” la forca, davanti allo Steri, ad un bandito mazarese dalle leggendarie doti atletiche. Appropriatamente chiamato “Salta le viti”, popolare anche come una sorta di Robin Hood nostrano. Un quasi romantico grassatore che qualcuno ancora più svelto rinchiuse alla Vicaria e la cui intrigante vicenda fu riassunta come segue dal Mongitore. Fu appiccato il famoso sbandito Antonino Catinella, detto per sopra nome “Salta le viti”per la sua agilità. Uscito in campagna divenne il terrore di Sicilia. Poiché capo d’una squadra numerosa di sbanditi solea andare in traccia di persone facoltose e avare. Facea però gran bene a persone povere che non molestava ma provvedea. Il vescovo di Girgenti procurò che andasse fuori di Sicilia, e così andò a Roma. Ma dopo ritornato segretamente in Mazara di notte, entrò nel monastero di Monache di Mazara, alle quali domandò il loro denaro, che sapea avevano. E ricevuto senza molestarle, se ne ritornò in Roma. Scrisse il viceré per averlo nelle mani, ma prevedendo che non stava sicuro, si trasferì in Livorno. Ed ivi con licenza del gran duca fu fatto prigione e trasferito in Palermo, ove fu appiccato. In fondo, nemmeno tanto malvisto anche dall’austero diarista.

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